Raccolta di Voci e Fatti
AFRICA: CONTINENTE IN RINASCITA ?
Sono pochi gli studi sull’Africa che lasciano spazio alla speranza. L’immagine, vero e proprio cliché, di un “continente naufragato” compendia tutti i possibili giudizi su un’Africa sinonimo di miseria, corruzione, frode, e che sarebbe patria di violenza, di conflitti, di genocidi. Le analisi degli esperti occidentali insistono sui vicoli ciechi dei “circoli viziosi della povertà”, sulla crisi dei modelli di sviluppo e delle ideologie che stanno alla base delle strutture degli Stati: peccato imperdonabile in un mondo avviato alla globalizzazione.
La speranza degli anni sessanta di uno sviluppo secondo il modello occidentale di quello che un tempo veniva chiamato “Terzo Mondo” si è totalmente arenata, la sua teoria è entrata in crisi. Eppure, l’obbiettivo degli organismi di aiuto non era forse la promozione di uno sviluppo “integrato”, “partecipativo”, “comunitario” e così via ? Quante regioni africane, oggi divenute vasti cimiteri di progetti e programmi costati miliardi di dollari, hanno visto sfilare legioni di “cooperatori”, di “esperti”, di “assistenti tecnici” che hanno fatto della consulenza all’Africa un proficuo business ?
Certamente, la responsabilità delle disgrazie del continente non può essere attribuita soltanto a fattori esterni: l’Africa è malata anche di se stessa. Basti pensare al saccheggio perpetrato dalle sue classi dirigenti che hanno fatto della corruzione un metodo di governo, e al fatto che la maggior parte dei conflitti che hanno insanguinato il continente nero non si possono capire al di fuori di obbiettivi geopolitici ed economici rappresentati da risorse come il petrolio, l’uranio, i diamanti, l’oro o il cobalto, contesi da potenti gruppi di interessi.
Peraltro, il fallimento dello sviluppo mette anche in luce una caparbia resistenza delle società africane a sopportare i costi enormi di strategie e programmi dettati dalle istituzioni finanziarie internazionali. Non bisogna dimenticare che in Africa il vero povero è colui che non ha parenti: lo spirito di famiglia, inteso nella sua accezione più ampia, e il principio di reciprocità collocano con forza i rapporti economici nelle maglie dei rapporti sociali. Per questo gli africani prendono le distanze da un modello di sviluppo che ai loro occhi considera le disparità socio-economiche come il vero motore del progresso.
Homo oeconomicus contro Homo africanus ?… La risposta debole, ma fiera, delle società africane viene da tanti attori anonimi che hanno dato vita con inventiva a iniziative come l’auto-organizzazione delle comunità contadine, l’emergere di imprese locali che abbozzano tentativi di industrializzazione, la massiccia partecipazione delle donne a imprese informali in pieno sviluppo nelle città africane.
Al di là dell’arte di arrangiarsi, queste pratiche popolari rappresentano le forme concrete di una socio-economia radicata nelle culture locali. L’accesso alla modernità economica non è quindi considerato incompatibile con l’articolazione dei rapporti fra lavoro, profitti e parentela, arrivando a tradursi in forme di sviluppo solidale.
Grazie a queste pratiche popolari, l’Africa è probabilmente il continente che meglio resiste al livellamento mondiale, che non rifiuta lo sviluppo, ma sogna qualcosa che sfugga alla diffusione di una modernità alienante che annienta i valori cari all’uomo africano.
Si potrebbe quindi arrivare ad affermare paradossalmente che sotto questo aspetto l’Africa appare come un “continente dell’avvenire”, che ci ricorda come esistano anche visioni del mondo e della vita diverse da un modello che, secondo l’uomo africano, imprigiona gli esseri umani in un mondo spersonalizzato ed effimero, il cui unico credo sembra essere: “Vendo, ergo sum”.
Marcantonio Scipione