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Articolo di Franco Santellocco |
Parliamo di informazione, ma anche di altro |
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Qualche
giorno fa ho evocato come impellente ed ulteriormente ineludibile il tema
della centralità dei Consolati, pur nella consapevolezza del gravoso
impegno di risorse, in personale e finanziarie, richiesto per ripristinare
un clima di serena fiducia fra le collettività degli Italiani
all’estero e lo Stato, che è stata incrinata con miopia e con una
visione provinciale e spesso smaccatamente retorica e mercantilistica
della funzione delle comunità italiane. Mi pare necessario
modificare sostanzialmente l’approccio al problema: dare inizio ad
azioni concrete e misurabili che rivelino un ritorno di attenzione verso i
connazionali all’estero. Centralità dei
Consolati, dunque, ma non solo. Informazione e
cultura dovranno accompagnare questa azione di rinascita e di rinnovata
attenzione. Pur essendo due temi
sostanzialmente diversi è tuttavia innegabile che l’informazione è il
veicolo utilizzato per diffondere lingua e cultura, con particolare
riguardo, e non me ne si voglia, alla televisione. Dopo la seconda
guerra mondiale essa ha supplito alla funzione che sembrava affidata in
precedenza al servizio militare nella conoscenza delle realtà del nostro
Paese ed ha portato la lingua nazionale in tutte le case. Tuttavia la
sensazione lasciata dalle trasmissioni di RAI International è avvilente:
la giustificazione che il budget della rete copre soltanto l’8% dei
programmi, mentre tutta la rimanente programmazione deve essere scelta fra
quella delle reti nazionali, non è accettabile. E’ inammissibile
poi la assenza dell’emittente dal settore dell’informazione politica:
le percentuali di partecipazione alle elezioni dei Comites, quelle del
referendum sulla procreazione assistita, anche se di difficile
interpretazione, avrebbero dovuto suonare come un campanello di allarme. Si è invece
trascurato, in una situazione di colpevole indifferenza, il modesto grado
di coinvolgimento delle comunità, lasciando degradare una situazione che
già appariva compromessa. Si sarebbe dovuto
chiarire, spiegare, approfondire: dalle elezioni dei Comites sono passati
invano a questo fine due anni. I candidati alle
prossime elezioni, poi, ci hanno messo del loro, poiché invece di
illustrare i programmi dei partiti e delle coalizioni di appartenenza
hanno immesso nell’attuale campagna elettorale massicce dosi di veleno,
spesso a livello personale. In una recente
conferenza un oratore ha porto alla riflessione una sua teoria
sull’indifferenza e l’apparente modesta partecipazione delle comunità
nelle vicende politiche che precedono queste elezioni: gli Italiani
all’estero, e qui parlava in particolare di quelli oltreoceano, non
capiscono e non vogliono essere partecipi di un processo in cui mezza
Italia appare disonesta, arrogante, incapace. La loro immagine è diversa
e rifiutano il coinvolgimento in questo mondo che non capiscono. Vero o falso che
sia, non vi è dubbio che é gravemente mancata una seria politica da
parte della RAI verso le comunità: sono mancati programmi mirati,
bilingue, veramente internazionali, capaci di coinvolgere gli italiani
all’estero con una visione aperta, di avviare uno scambio di esperienze
fra giornalisti di diversa provenienza, anche locali, è mancata la voglia
di perseguire uno scambio informativo vivace, foriero di una informazione
di ritorno, utile anche a sprovincializzare un mondo giornalistico, quello
solito degli inviati speciali, spesso troppo preso di sé. Appare quindi
necessario “rivedere” Rai International, ridisegnarne la missione, i
compiti, adeguare le strutture, assicurare le risorse necessarie per
conquistare un mercato, dell’informazione e dell’intrattenimento in
lingua nazionale, che sembra essere fuori controllo, emanare una normativa
che rispetti il pluralismo e si integri con efficacia con l’informazione
locale, favorendone lo sviluppo capillare sul territorio, sia su carta
stampata che sull’etere. Ho deliberatamente
voluto far seguire a due argomenti a basso costo per le casse dello Stato,
l’assistenza sanitaria agli Italiani all’estero in visita nel nostro
Paese ed il riconoscimento dei titoli di studio, due altri decisamente
onerosi per impegno e costi, la centralità dei Consolati e
l’informazione, in particolare televisiva, ma non solo, diretta
oltreoceano ed in Europa. Essi sono
indicativi, se affrontati ed avviati a soluzione, di una scelta operativa
che delinea un mutamento nell’approccio della classe politica verso le
comunità italiane all’estero. Sono consapevole che
molti sono i problemi, ma anche che funzionalità dei Consolati ed
informazione plurale, completa e corretta sono una solida base per
iniziare a colmare la distanza che separa la comunità nazionale da quella
della diaspora italiana. In questa fase della
campagna elettorale è troppo comodo sostenere che nessuno ha la bacchetta
magica: suona già come giustificazione di una sottomissione al volere
delle segreterie dei partiti che, qualsiasi coalizione raggiunga il
successo, si troveranno ad affrontare e pilotare l’uscita da un periodo
di crisi economica dell’intera Comunità europea, fra mille rischi e
molta prudenza. Ho già affermato in
un mio precedente articolo che i rappresentanti in Parlamento degli
Italiani all’estero dovranno mettere in campo perseveranza, capacità di
convincere, autorevolezza ma, soprattutto, spirito di servizio. La loro stella
polare non potrà e non dovrà essere la segreteria del partito che li ha
candidati, ma gli elettori che, per la prima volta, li hanno eletti e che
su di loro hanno riposto speranze ed aspettative. Dovranno essere
capaci di inserirsi pienamente nello schieramento che hanno scelto, ma
allo stesso tempo, con funzione bipartisan, costituire un cuneo sempre
operativo quando si tratta di questioni vitali per l’emigrazione. Qualcuno ha scritto,
e condivido pienamente, che “all’emigrazione non servono parlamentari
generici, portaborse di partito o mere mani votanti, ma persone che hanno
a cuore l’interesse della comunità e sappiano gestire con creatività
questo nuovo ruolo”. E’
quanto mi riprometto di fare se sarò accompagnato dalla fiducia degli
elettori, operando all’interno della coalizione che mi ha candidato sui
grandi temi della vita nazionale, ma accordandomi anche con il diavolo - e
non me ne voglia padre Tassello - pur di giungere alla soluzione dei
maggiori problemi della emigrazione, avendo come unico riferimento
aspettative ed esigenze delle comunità.
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