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Articolo di Franco Santellocco

La carestia alle porte: una tragedia annunciata ed evitabile

 

Gli infiniti travagli di un Continente che sembra non avere pace continuano a colpire implacabili, spesso tra gli strati più indifesi ed innocenti di una popolazione stremata ed inerme.
Una nuova emergenza alimentare sta per aggredire la parte meridionale del Continente africano. Ne saranno vittime tutti i Paesi della regione, ad eccezione del Sudafrica.
Le prime avvisaglie della tragedia hanno già toccato il Malawi. Nel distretto di Nsanje il prefetto, Toby Solomony, rilascia dichiarazioni che non presagiscono nulla di buono. "Non so da quanto tempo non piove", dice Solomony, "e ora c'è anche una crisi di acqua potabile".
Quello che sta per abbattersi su questo travagliato Sud del mondo è l'ennesimo cataclisma. Forse la più grave crisi alimentare che l'Africa abbia mai dovuto sopportare, complice quello stesso cambiamento climatica che provoca cicloni nel Golfo del Messico, nonché cause endogene non meno gravi. Lo Zimbabwe sconta le deliranti scelte politiche di Robert Mugabe; l'Angola investe in agricoltura solo lo 0,6 per cento del suo bilancio; il Mozambico è enorme e privo di vie di comunicazione; il giovane re dello Swaziland ha regalato una BMW ad ognuna delle sue mogli, per un totale di 18 milioni di dollari sperperati, mentre il 42 per cento del suo popolo muore di AIDS.
Le previsioni sono già catastrofiche. "Forse 9 milioni di esseri umani, forse di più resteranno senza cibo", spiega Henri Josserand, dirigente della FAO.
Un altro Darfur, un altro Niger.
Le cifre sono semplici nella loro agghiacciante chiarezza: nel solo Malawi, 5 milioni di abitanti su un totale di 11 milioni rischiano di morire di fame. Per evitare il disastro, al Malawi servirebbero 3,4 milioni di tonnellate di mais l'anno, mentre si appresta a produrne 1,25: il risultato più misero dell'ultimo decennio.
Ma, a differenza delle crisi precedenti, la nuova emergenza non sta per scoppiare all'improvviso, ignorata fino all'ultimo: questa volta, alla FAO l'allarme è stato dato per tempo, già a giugno è stato pubblicato un rapporto che indicava l'imminente scarsità di cibo, e, a luglio, Kofi Annan ha inviato una lettera a tutti i capi di Stato per informarli dell'imminente crisi alimentare africana. A fine agosto, è stato infine inviato un appello urgente a tutti i Governi per un' "immediata necessità umanitaria".
Nonostante questo, duole constatare che l'Occidente "civile" e "sviluppato" sembra sempre più spesso imboccare la comoda strada dell'indifferenza e del silenzio, abbandonando al suo destino un intero Continente che rischia di morire schiacciato da un peso troppo grande da affrontare. Il mercato globale della tragedia assomiglia a quello del petrolio: saturo di domanda e sempre più scarso di offerta.
Intanto, il numero di bambini ricoverati per malnutrizione è aumentato, a settembre, del 100 per cento rispetto all'anno precedente. Serve forse qualcos'altro da dire?
Serve forse dilungarsi, dopo che tutte le sedi istituzionali sono state debitamente informate ai più alti livelli, nel cercare di riassumere in poche righe ciò che probabilmente è la crisi umanitaria più grave che oggi sta affrontando il mondo?
Speravamo non fosse necessario, e che le dovute misure dovessero essere l'automatica conseguenza delle tragiche notizie giunte dall'Africa. Purtroppo, almeno fino ad ora, non è stato così. Ed il tempo è ormai giunto agli sgoccioli.
"Mi rifiuto di parlare di Niger", afferma Lola Castro, funzionaria del WFP in Malawi. Ed il suo ottimismo ci sembra simile a quello di Cambronne morituro mentre un'accozzaglia di giovani, non più esercito del grande Napoleone, si avviavano al loro destino nella piana di Waterloo.
Ma del resto, la sua ostinazione nel credere che il dramma sarà evitato è comprensibile: dopotutto è da marzo che il mondo, o chi aveva orecchie per intendere, sa di un'emergenza imminente nell'Africa sub-Sahariana.