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Articolo di Franco Santellocco 

Riforma ONU: il tempo stringe. - L'Italia e le sue priorità


Ha avuto inizio, al Palazzo di Vetro, la controffensiva diplomatica dell’Italia per contrastare il progetto di riforma del Consiglio di Sicurezza dell’Onu proposto dal cosiddetto G4: Germania, Giappone, India e Brasile. 
L’idea di questi Paesi è quella di portare i seggi permanenti da 5 ad 11, includendo ovviamente anche loro tra i nuovi membri permanenti. Sul merito di questa proposta, che sinceramente ci appare non solo intrisa di egoistico opportunismo ma soprattutto antistorica, ci siamo già pronunciati e sarebbe inutile ripeterci. Qui basti dire che, in un mondo che oggi più che mai è ombrato da problemi cruciali, dispiace vedere come ogni Stato si preoccupi esclusivamente del proprio personalissimo interesse ad un seggio permanente, piuttosto che del bene comune.
La stessa Unione Europea, invece di presentarsi in unità d’intenti, è dilaniata dagli egoismi nazionali che le impediscono di reclamare con forza un seggio unico per l’intera Unione, come giustamente proposto, inizialmente, dall’Italia.
Come possiamo pretendere che l’Onu sia in grado di affrontare e vincere le grandi sfide di questo nuovo millennio, se non la dotiamo di una struttura flessibile che tenga conto delle mille sfaccettature del mondo d’oggi? La presenza di nuovi membri permanenti cristallizzati nella struttura del Consiglio di Sicurezza non farebbe altro che appesantire ulteriormente un meccanismo già scricchiolante, facendo emergere ancor di più gli egoismi nazionali, gli interessi individuali, e dunque aumentando i punti di frizione in una realtà internazionale che non appariva più così divisa dal crollo del muro di Berlino.
In questo contesto problematico, la riforma dell’Onu, e dunque il suo successo o fallimento, potrebbe rappresentare un punto di svolta di importanza epocale: guai a sbagliare oggi, perché le conseguenze potrebbero ricadere non solo su di noi, ma sulle generazioni future. La storia non dovrebbe mai essere dimenticata perché in questa realtà fatta, come ci insegna il Vico, di “corsi e ricorsi”, è saggio tenere a mente ciò che il passato ci mostra. Non ignoriamo dunque che quella diretta antenata dell’Onu, la Società delle Nazioni, è miseramente fallita lasciandoci cadere nel vortice del secondo conflitto mondiale anche perché era ormai divenuta null’altro che uno strumento di pressione politica nelle mani delle grandi potenze, sacrificando a ciò ogni possibilità di dialogo.
Alla luce di un simile esempio, che dovrebbe essere ricordato più spesso, la proposta alternativa di riforma lanciata dall’Italia appare molto più efficace, perché molto più ancorata alla realtà internazionale ed alle sue esigenze: un solo nuovo seggio in seno al Consiglio di Sicurezza, da ricoprire a rotazione magari su base regionale, potrebbe garantire una più ampia visibilità per tutti, e quindi una maggiore attenzione a problemi drammatici spesso ignorati per lo scarso peso politico dei Paesi che ne sopportano il fardello, per non dire di un guadagno in democraticità dell’intero sistema. 
Bene sta dunque facendo il nostro diplomatico presso le Nazioni Unite, che ha già incontrato, assieme ad una delegazione di 26 Paesi che condividono le idee italiane, il Segretario Generale Kofi Annan per presentargli il documento “Uniting for Consensus”: in sostanza la nostra proposta alternativa a quella del G4.
E’ il momento della diplomazia, che dovrà compiere passi delicati per cercare di ottenere i migliori risultati possibili, non soltanto per il nostro Paese, ma per attuare una riforma dell’Onu oggettivamente più efficace e foriera di positivi sviluppi. In questo quadro, speriamo che la recente visita in Italia del Presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu Jean Ping sia stata un’occasione non sprecata per sponsorizzare una soluzione che appare più aderente alla realtà e maggiormente praticabile oltre che sensata.
Gli sforzi, a tutti i livelli, devono essere convogliati nella stessa direzione. Per l’Italia, si tratta di una questione essenziale di interesse nazionale: se resteremo gli unici tra i grandi a non avere un seggio permanente in Consiglio di Sicurezza, subiremmo una tragica perdita di immagine e credibilità, che non tarderebbe a portare effetti nefasti anche sul piano economico e commerciale.
Forse non tutti hanno ancora preso pienamente coscienza dell’importanza e della delicatezza del momento: sarebbe ora, francamente, di darci una svegliata, e di appoggiare in ogni modo gli sforzi delle Istituzioni e della diplomazia in questa battaglia che rischia di vederci finire come “gli unici sconfitti della seconda guerra mondiale senza un seggio permanente”.