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Articolo di Franco Santellocco

Azione unitaria del CGIE: una inderogabile necessità  

 

Il CGIE, nella sua ultima Assemblea plenaria ai primi di dicembre, ha lavorato con convinzione e serietà, consapevole della sua responsabilità nei confronti dei 4 milioni di italiani all’estero delle cui istanze è l’espressione di sintesi.

Si trattava, in realtà, della prima vera riunione operativa, poiché nello scorso mese di luglio l’Assemblea plenaria era servita ai Consiglieri, rinnovati in gran parte, per prendere coscienza della notevole mole di problemi che erano in discussione ormai da anni, per organizzare e programmare il lavoro che dovrà essere svolto per ricercare soluzioni concrete ed idonee.

Ciascuna Commissione, sia quelle Continentali che quelle tematiche, hanno prodotto documenti finali, sintesi delle lunghe e laboriose discussioni e, al termine delle cinque giornate di lavoro sono stati presentati ben 16 ordini del giorno su svariati argomenti.

Tuttavia fin dalle prime battute dei lavori aleggiava una penosa sensazione: si aveva infatti l’impressione di lavorare per se stessi, di dialogare con sordi e muti, di veder cadere nell’indifferenza i problemi esaminati e le soluzioni proposte.

Il sospetto che il CGIE rimanga un organo sostanzialmente autoreferente, che dialoga per se stesso e su se stesso, senza alcun ancoraggio alle istituzioni cui si rivolge, appare sempre più fondato, insieme alla spiacevole percezione che esso, entrato ormai in periodo preelettorale in vista delle prossime elezioni politiche, stia per diventare un arengo in cui gli ambiziosi guardano più ai loro interessi personali che a quelli delle comunità che rappresentano, con uno sfoggio crescente di demagogia, che allontana e rende difficile un lavoro serio di ricerca di soluzioni concrete.

A questa sgradevole impressione si aggiunge, oggettivamente, un silenzio davvero assordante da parte delle istituzioni: i documenti prodotti dovrebbero essere letti, compresi ed avere riscontri da parte degli organismi di governo cui sono indirizzati.

Invece le risposte non giungono (o non vengono sollecitate) : anche se brutalmente critiche, esse consentirebbero di affinare il lavoro, di ricominciarlo se necessario, di scontrarsi e dialogare. L’indifferenza annulla la volontà di fare, il muro di gomma fa apparire inutile ogni sforzo. 

Ma forse è proprio questo che si vuole: opporre l’immobilismo di una palude che tutto inghiotte senza far riemergere nulla al desiderio di agire, di trasformare, di migliorare.

Si prendano ad esempio i due ordine del giorno relativi alla riapertura del Consolato Generale a Tangeri e all’apertura di Consolati Generali in alcuni Paesi dell’America Latina: essi rispondono a reali esigenze delle comunità locali ed in particolare il primo è stato già presentato in due precedenti occasioni nel corso del 2003, con approvazione unanime della Commissione continentale competente. 

Non è stata data alcuna risposta, forse con la speranza che l’argomento, a lungo andare, venga dimenticato e così risolto. Voci di corridoio lasciano intendere che serie difficoltà di ordine economico impediscano una soluzione ai problemi rappresentati: il CGIE non può accontentarsi di voci, deve pretendere ed ottenere risposte dirette dagli organismi interessati alla soluzione dei problemi.

Tuttavia il CGIE deve anche essere in grado di recepire le esigenze ed i bisogni delle comunità, nella loro diversa collocazione nelle varie parti del mondo: cioè i consiglieri, in Assemblea Plenaria, sono chiamati a valutare i problemi esistenti nelle varie Aree Continentali e queste valutazioni non riflettono ovviamente le situazioni dei singoli consiglieri nei rispettivi Paesi di residenza. 

L’assistenza sanitaria, ad esempio, è uno di quei problemi cui sono particolarmente sensibili i cittadini italiani residenti all’estero in Paesi le cui strutture sono fatiscenti.

Sul sito Internet del Ministero della Sanità si può leggere che “essa è assicurata, con la legge che ha dato vita al Servizio sanitario nazionale, a tutti i cittadini che hanno la residenza in Italia. 

“Di conseguenza, fatta eccezione per i casi sotto indicati, è regola generale, che tutti coloro che trasferiscono la residenza dall’Italia verso un altro Stato perdono il diritto all’assistenza sanitaria, sia in Italia che all’estero, e ciò avviene automaticamente all’atto della cancellazione presso l’anagrafe comunale. 

“L’iscrizione all’AIRE (anagrafe degli italiani residenti all’estero) o il diritto di voto in Italia non aprono un diritto illimitato all’assistenza sanitaria in Italia se non entri i limiti descritti più in avanti”

In occasione di un eventuale rientro in Italia essa può essere erogata “con la esibizione di una dichiarazione del Consolato italiano del luogo dove si risiede, che attesti lo status di emigrati. L’assistenza sanitaria viene concessa per un periodo di tempo non superiore ai 90 giorni, anche cumulabili, per anno solare.”

Le norme sopraccitate traggono origine e riferimento dalla legge n. 833 del 23/12/1978 - art. 19 e dal decreto del Ministero della Sanità emesso con il concerto del Ministero del Tesoro in data 01/02/1996 - Art. 2 - comma II - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 119 del 23/05/1996.

Un ordine del giorno, presentato dallo scrivente quale Consigliere del CGIE, si proponeva di eliminare la discriminazione fra “cittadini italiani residenti” e “non residenti” e di consentire l’assistenza sanitaria senza limiti temporali agli italiani residenti all’estero che rientrano temporaneamente in Italia.



Questa la formulazione dell’Odg :



ASSEMBLEA PLENARIA

(Roma, 7-10 dicembre 2004)

ORDINE DEL GIORNO n. 5
Presentato da: Franco Santellocco
Prestazione Sanitaria
Ricordato che il diritto all’assistenza sanitaria per i cittadini italiani, titolari di pensione corrisposta da Enti previdenziali italiani, o aventi lo status di emigrato, residenti all’estero che rientrano temporaneamente sul territorio nazionale e regolato dall’ art. 19, legge 23.12.1978, n°833, Art. 2 Comma II, del Decreto Sanità-Tesoro del 01.02.1996, è comunque limitato a prestazioni sanitarie urgenti per un periodo massimo di novanta giorni continuativi nell’anno solare da parte del Servizio Sanitario Nazionale;

Ricordato che la prestazione viene erogata dalla Unità Sanitaria Locale territorialmente competente in base alla temporanea dimora dell’assistito; 

l’Assemblea plenaria del CGIE 

chiede
un intervento normativo atto a superare la discriminazione fra “cittadini residenti in Italia” e “cittadini residenti all’estero”, 

chiede in subordine che

la prestazione ora erogata e disciplinata venga estesa a 12 mesi 

l’anno.

Roma, 10 dicembre 2004

Non approvato per mancanza di numero legale



Il tutto in perfetta sintonia con i lavori della Commissione Continentale Europa-Nord Africa di Casablanca e Lussemburgo, nei quali identici Odg furono approvati all’unanimità.

Pareva logico attendersi che, in un’Assemblea dove non si è parlato che di “assegno sociale o di solidarietà”, dove la maggioranza non ha fatto altro che lamentare i guasti sociali prodotti dai tagli dell’ultima finanziaria, dove la demagogia ha regnato sovrana, tale Ordine del giorno incontrasse le generali simpatie e che esso ricevesse una massiccia adesione.

Il Consigliere Bucchino, di professione medico, ha tuonato dalla tribuna contro l’approvazione dell’Ordine del Giorno, ed in questo validamente sostenuto dalla brillante Silvana Mangione che vive negli Stati Uniti, tanto che numerosi consiglieri non hanno partecipato alla votazione ed esso, pur raccogliendo un numero di voti favorevoli superiore a quello dei contrari, non è stato approvato per mancanza del numero legale, che, guarda caso, è ricomparso a tutte le successive votazioni.

Appare evidente la diversa sensibilità che anima il Consigliere Bucchino, eletto in un Paese, il Canada, dove la povertà praticamente non esiste e l’assistenza sanitaria è efficiente e garantita ed una maggioranza di sinistra, elitaria e radical-chic di funzionari e colletti bianchi, che vivono l’emigrazione dall’altra parte della scrivania in Paesi sviluppati, rispetto ad altri che, invece, sono confrontati quotidianamente con i problemi e le difficoltà legate alla salute in Paesi meno fortunati.

In tali Paesi l’Italia è l’ultima spiaggia per chi si infortuna, contrae gravi infezioni, o che comunque deve ricorrere ad interventi particolarmente delicati. 

Nel non partecipare al voto questi consiglieri hanno posto gli italiani “non residenti” di fronte a scelte difficili: guarire in 90 giorni, morire, dare fondo ai risparmi accumulati in anni di sacrifici o, più semplicemente, cancellarsi dall’Anagrafe Consolare e ritornare “residente” nel proprio Comune di origine con tutte le altre implicanze di ordine professionale, familiare e quant’altro.

Salvo naturalmente riportare successivamente di nuovo la residenza effettiva all’estero, ecc.ecc.

Se non fosse tragico sarebbe un comico augurio di pronta guarigione.

Purtroppo sembra che la divisione politica del CGIE faccia perdere di vista il fatto che alcuni problemi non sono di sinistra o di destra: sono problemi e basta, vanno avviati a soluzione e devono ricevere risposte. 

Se non prevarrà questo spirito di azione unitaria, concreta e non demagogica, se il CGIE non sarà capace di proporsi nella sua unità alle istituzioni, un’altra occasione sarà perduta ed il suo prestigio forse definitivamente dissipato.

A cosa serve il CGIE? Un interrogativo che sarebbe gravissimo lasciare aleggiare, ma di cui sarebbe responsabile soltanto la sua incapacità di proporsi come valido interlocutore.