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Articolo di Franco Santellocco

Energy charter treaty: un modello da esportare 


Gli investitori stranieri che indirizzino il loro interesse verso i Paesi dell’Europa dell’Est, possono oggi fare affidamento su un efficace strumento di tutela dei loro interessi. Ci riferiamo all’Energy Charter Treaty, concluso nel 1994 tra le Comunità Europee e 49 Stati Europei: un Trattato multilaterale unico, limitato al settore energetico, e che in tale settore stabilisce diritti ed obbligazioni relativi ad un ampio spettro di materie, come investimenti e scambi commerciali.

Scopo precipuo del Trattato è quello di stabilire un quadro legale per la promozione di una cooperazione di lungo periodo nel settore energetico.

Caratteristica importante dell’Energy Charter Treaty è che le obbligazioni relative agli investimenti in esso contenute possono essere portate ad esecuzione dalle Parti private contro gli Stati inadempienti attraverso un meccanismo vincolante di arbitrato internazionale. Quest’ultimo procedimento è attivabile non soltanto contro gli Stati dell’Est europeo, ma anche contro i Paesi OCSE e l’Unione Europea.

Lo sviluppo del Trattato è stato una reazione al collasso dell’Unione Sovietica: l’idea è nata nel 1990 come base politica e legale per la cooperazione tra Est e Ovest, a supporto della transizione verso un’economia di mercato ed una maggiore stabilità politica, che richiedeva la promozione dello sviluppo economico dell’Est europeo.

Volendo fare un rapido excursus dei più importanti aspetti del Trattato, che è stato tra i maggiori artefici di quel rinnovamento delle relazioni commerciale e di quel riequilibrio che permette oggi a tanti Stati dell’Est di firmare insieme a noi la Costituzione Europea, basti pensare ad alcune delle sue previsioni.

Il fondamentale art. 10 stabilisce, come standard di protezione degli investimenti, la soluzione più conveniente per l’investitore tra le due opzioni del trattamento nazionale e del trattamento della nazione più favorita.

Degno di nota anche l’obbligo per le Parti di esaminare in buona fede le richieste degli investitori di un diverso Stato Contraente relative all’assunzione di “personale chiave” per l’investimento avviato, e dunque al loro ingresso nel Paese ospite.

Ogni Parte Contraente è poi obbligata a garantire il libero trasferimento di fondi relativi agli investimenti, senza ritardo ed in valuta convertibile.

Tra le norme più importanti, non si possono dimenticare anche quelle relative al meccanismo di risoluzione delle controversie di investimento. Questo meccanismo prevede una forma di arbitrato obbligatorio attivabile a discrezione del privato investitore, senza necessità di stipulare alcun compromesso. L’investitore ha la possibilità di scegliere tra diversi metodi di risoluzione delle controversie, previo fallimento dei tentativi di conciliazione: le Corti nazionali dello Stato ospite, le procedure previamente concordate, il procedimento Icsid (sulla cui importanza ci siamo già, in passato, soffermati), un arbitrato sulla base delle regole Uncitral o un procedimento amministrato dall’Istituto Arbitrale della Camera di Commercio di Stoccolma. Questa la vasta gamma di alternative a disposizione dell’investitore privato.

L’Energy Charter Treaty è senza dubbio, insieme al Nafta, il più importante Trattato multilaterale capace di farsi promotore di quell’uso estensivo di metodi legali caratteristico di una nuova regolamentazione dell’economia globale. Imbevuto della filosofia del liberalismo economico, esso rompe con la tradizione degli Accordi multilaterali sul commercio, rendendo i Governi direttamente responsabili nei confronti degli investitori privati davanti a Tribunali arbitrali in relazione al rispetto degli importanti doveri fissati dal Trattato.

Esso, considerato da Bamberger, Linehan e Waelde nell’opera Energy Law in Europe come “il più innovativo dei moderni Trattati economici internazionali”, ha sviluppato l’idea di un diritto di transito dell’energia molto più avanzato rispetto ai confini classici fissati dalla Convenzione di Barcellona del 1921, e basato invece sulle Direttive della Comunità Europea.

Adesso, visti gli enormi vantaggi portati in un solo decennio di operatività dall’Energy Charter Treaty, e di cui l’ingresso nell’Unione Europea dei Paesi dell’Est è la dimostrazione più lampante, perché mai nessuno ha ancora pensato ad estendere l’operatività del Trattato, o a negoziare Trattati multilaterali analoghi, a Paesi di diverse ma ugualmente svantaggiate aree del mondo ?

Questa, purtroppo, è l’ennesima dimostrazione dell’imperdonabile, scarsa attenzione che i nostri Governi riservano ai drammi dell’Africa e ad una cooperazione efficace rivolta a quest’area del pianeta.

Non soltanto: è la dimostrazione della ben poca attenzione per i problemi di quelle comunità italiane che oggi risiedono nel Continente africano, unico baluardo di una cooperazione vera e fautrice di grandi risultati, e che rientrando in larga parte nella categoria degli imprenditori e “tecnici a seguito d’impresa”, si trovano ad affrontare da soli ostacoli spesso insormontabili. Ostacoli che potrebbero essere facilmente risolti con un minimo di impegno e buona volontà da parte delle Autorità, attraverso il negoziato e la stipulazione di Accordi multilaterali analoghi a quello esaminato.

Prendiamo atto che il maggior punto di forza dell’Energy Charter Treaty è la sua settorialità, che limitandone l’applicazione al solo settore dell’energia ne ha consentito la piena efficacia senza i problemi che sarebbero stati inevitabilmente legati ad uno spettro più ampio di materie.

Detto questo, come è possibile che nessuno abbia pensato ad estenderne la portata, o quantomeno a negoziare Accordi analoghi, con un’area del mondo, quale è l’Africa, la cui caratteristica principale è proprio l’enorme ricchezza di risorse energetiche ?

Eppure l’importanza dell’elemento economico dei Paesi africani è stata accuratamente sottolineata anche in diverse Commissioni Continentali del CGIE.

Sono leggerezze imperdonabili, perché vanno a segnare la vita di un intero Continente che muore giorno dopo giorno in un’interminabile agonia, e quel che è peggio nell’indifferenza generale.

In dieci anni, l’Energy Charter Treaty ha grandemente contribuito all’integrazione in Europa dell’Est europeo.

Quali grandi risultati si sarebbero potuti ottenere nello stesso arco di tempo, se solo qualcuno si fosse dimostrato abbastanza lungimirante da avviare un discorso, parallelo ed analogo, verso i Paesi dell’Area Mediterranea, oggi così importanti anche da un punto di vista strategico?

E’ una domanda su cui dovremmo riflettere tutti molto più spesso, a cominciare da chi ha l’onore e l’onere di responsabilità di Governo.

Perché quando si parla di vita e di morte di innocenti, non ci si può permettere il lusso dell’errore. Tanto meno quello di commettere leggerezze, dimenticando i nostri doveri morali.