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Articolo di Franco Santellocco

Costituzione UE: lo stato di integrazione ed il ruolo degli Italiani in Africa 

Fra poche ore, il 29 Ottobre, sarà firmata a Roma la Costituzione Europea: una svolta epocale. Un traguardo estremamente importante, un punto di svolta nel processo di integrazione di questa Europa sempre più unita, e da cui tutti dovremo trarre nuovo slancio per lavorare insieme alla soluzione degli ancora troppi problemi che vengono frapposti a questo processo.
Inutile dire che le nostre comunità all'estero saranno, insieme agli altri, tra i protagonisti nella realizzazione di questo ambizioso obiettivo.
Storicamente, siamo di diritto tra i "Padri Fondatori" di questa Europa nata dalle idee illuminate di tre statisti che hanno saputo guardare lontano: Schumann, Adenauer, De Gasperi, che tanto ha creduto in quella che, all'epoca, tanti consideravano un'utopia. Da allora, molto si è fatto. Ed i traguardi raggiunti sono il frutto anche del lavoro silenzioso e dei sacrifici con cui le comunità italiane hanno saputo farsi accettare, apprezzare, ed infine integrarsi, vincendo la diffidenza iniziale con cui molti Paesi Europei li accoglievano. Pensate alla tragedia di Marcinelle e dei suoi minatori: morti mentre, nel loro piccolo, lavoravano anch'essi nel disegno più ampio dell'integrazione.
È stato un lavoro umile, paziente, ma che ha fatto molto più di quanto non venga ancora riconosciuto per trasformare un'integrazione puramente "di facciata" in una multiculturalità vera che dovrà essere il tratto caratterizzante di un'Unione Europea che aspiri ad essere unità non di Governi, ma di popoli.
Con la firma della Costituzione Europea, siamo di un passo più vicini a questo traguardo, e questo ci deve spronare ad accelerare le tappe. In questo senso, ci feriscono e ci preoccupano alcuni elementi stridenti in questo quadro di integrazione. Discriminazioni gravissime nei confronti di tanti italiani, residenti in Paesi che dovrebbero essere in prima linea a difesa dell'europeismo, e che invece ancora negano permessi di soggiorno, cittadinanza o che addirittura espellono i nostri connazionali. Simili comportamenti, sintomo di una comprensione non ancora piena di ciò che l'Europa significa e comporta, devono essere denunciati duramente e risolti perché, oltre ad essere una grave ingiustizia, non fanno che minare e rallentare quella piena integrazione per cui tanto si è lavorato e si lavora.
Non ci meraviglia che i Paesi responsabili di simili comportamenti, sono gli stessi che oggi, portando avanti una politica anacronistica, rivendicano da soli un seggio permanente in seno alle Nazioni Unite.
Bene ha fatto il nostro Presidente Ciampi a stigmatizzare questo comportamento. Bene ha fatto il nostro Ministro degli Esteri Frattini a non raccogliere una sfida di così infimo livello, e piuttosto a lanciare l'idea di un seggio permanente per l'Unione Europea. Che senso ha infatti parlare di Costituzione Europea, di Ministro degli Esteri Europeo, per poi mostrarsi divisi e litigiosi nel fondamentale contesto di un'ONU che affronta con fatica la propria riforma interna?
Simili tensioni vanno superate, se vogliamo attuare davvero quel "Terzo Pilastro" dell'Unione, quello "Spazio comune di giustizia e sicurezza" rimasto in larga parte sulla carta, e che oggi con la nuova Costituzione ha una chance di tramutarsi in realtà.
Dobbiamo formare, soprattutto nei giovani che vedono l'Europa distante e impersonale, una vera cultura dell'integrazione, alla luce dei tanti valori che le nostre diverse "anime" europee hanno saputo produrre, nel loro contributo unico e caratteristico al processo d'integrazione. In questo senso, diventano essenziali le forme di gestione dell'istruzione e della formazione professionale, che possono costituire veicoli di trasmissione di quei valori e di quell'europeismo vero che era nella mente e nel cuore di De Gasperi e degli altri "Padri Fondatori".
Ma in quei valori dobbiamo essere i primi a crederci, altrimenti non riusciremo mai a trasmetterli. Certo non aiuta il negare, quasi con vergogna, le proprie radici, come è stato fatto con il mancato richiamo, nel Preambolo della Costituzione Europea, alle radici cristiane dell'Europa.
In un'epoca di fondamentalismi e scontri dettati dall'appartenenza religiosa, negare le proprie origini alla ricerca di un appiattimento pacificatore non sarà d'aiuto. E' illuminante al riguardo il commento di Magdi Allam: "Se l'Europa non ha il coraggio di rispettare la propria identità, ci viene il dubbio che non sia capace di rispettare neanche la nostra". Soltanto conoscendo e rispettando se stessi, si può capire ed accettare anche chi è diverso da noi.
L'omologazione non può essere la soluzione: proprio in un'Europa omologata ed appiattita, infatti, rischiano di venire fuori con violenza le inevitabili diversità che permangono tra le nostre molteplici identità nazionali ed il confronto e l'integrazione rischiano di trasformarsi in scontro.
Bene dice l'islamologo Mustapha Cherif: "La presa di coscienza delle differenze, degli antagonismi, delle contrarietà, non autorizza a cadere nell'odio e la xenofobia, che sono pura cecità".
Il ruolo, l'obiettivo tendenziale dell'Unione Europea non deve, non può essere quello di creare una sorta di "modello unico europeo" che tenti di seppellire le nostre molteplici identità, che sono anche la nostra ricchezza. Al contrario, il ruolo dell'Europa dovrebbe essere quello di esaltare le caratteristiche di queste sue diverse anime, nel creare una "identità comunitaria" che non prescinda da quelle sue sacrosante diversità che nel corso dei secoli sono state la base dell'estro, della creatività, di un'Europa "culla della civiltà".
Un'Europa delle nazioni dunque, che non vuol dire, si badi bene, perdere una forte identità comunitaria, ma anzi accrescere tale identità, arricchendosi reciprocamente delle proprie diversità.
Questo ci porta, dopo aver visto l'importanza delle nostre comunità in Europa per il processo di integrazione, all'Africa.
Ad un'analisi superficiale e poco attenta, la situazione delle comunità italiane in Africa sembrerebbe ben poco correlata con una Costituzione Europea che riguarda in maniera così profonda i Paesi dell'Unione, tra cui l'Italia, e quindi le nostre comunità presenti, in maniera più o meno omogenea, sull'intero territorio europeo.
L'attenzione, tutta rivolta a quelle che sono le dinamiche del confronto, spesso anche serrato, tra i diversi membri dell'UE, sembra non potersi rivolgere ad altro che a cercare un punto d'incontro tra noi "cittadini d'Europa"; e guardare per un attimo a quella realtà esterna e distante che è l'Africa sembrerebbe non solo inappropriato, ma persino fuorviante.
Ma osservando più attentamente lo scenario, siamo così sicuri che l'Africa sia veramente distante dalle tematiche in discussione?
Il ruolo dell'Europa, qualunque sia l'evoluzione possibile del Continente Africano che si voglia prospettare, non può non essere fondamentale, considerati i legami storici che legano le nostre due realtà da secoli, su questo "ponte naturale" che è il mar Mediterraneo, in un equilibrio posto così bene in evidenza dai testi di Fernand Braudel.
Fin dagli anni '70, la consapevolezza di questo imprescindibile ruolo ha portato l'Europa a dare inizio ad una serie di azioni che diedero vita ad una storica stagione di cooperazione: basti ricordare il "Dialogo Euro-Arabo" del 1973 e il "dialogo Mediterraneo" del 1995.
Proprio in questo processo di progressivo interessamento dell'Europa nei confronti dell'Africa attraverso il comune denominatore, il Mediterraneo, si inserisce il ruolo sempre più significativo e di primo piano assunto dall'Italia e dagli italiani negli ultimi decenni, affermatosi in Paesi, come quelli del Maghreb, dove l'Italia era stata per anni relegata esclusivamente al ruolo di sgradita ex-potenza colonizzatrice della Libia.
Abbiamo quindi un nuovo fenomeno, dopo una "prima emigrazione" i cui meriti, specie nella modernizzazione di questi Paesi, non vanno dimenticati ma che ormai è in fase di inevitabile esaurimento: abbiamo una "nuova emigrazione" fatta di imprenditori, tecnici a seguito d'impresa, professionisti che operano in ogni campo e che si spostano non costretti dalla necessità, ma con la determinazione di chi è consapevole di andare a creare lavoro, occupazione, nuove infrastrutture ed opportunità in Paesi per molti aspetti ancora "vergini" e che tanto necessitano di proficui investimenti per la loro economia.
Questa circostanza rende ancora più importante e degna di merito l'azione che gli italiani hanno portato avanti in questi Paesi con serietà, costanza, impegno e sacrificio, spesso dovendosi confrontare con una cultura araba omogenea e da sempre in rapporto conflittuale con l'occidente, specie in tema di appartenenza religiosa. Un'azione grazie alla quale gli italiani sono ormai da anni presenti come comprimari in Algeria e Tunisia, ex colonie francesi, e praticamente unici protagonisti in Libia.
Grazie alla serietà di questi italiani che sono riusciti ad essere allo stesso tempo internazionali ("l'altra Italia", per usare la terminologia del Ministro per gli Italiani all'Estero, On. Tremaglia), la supremazia della Francia è stata affiancata e poi sostituita già negli anni '70. Questo risultato è stato primariamente una conquista proprio degli italiani in Maghreb: una "nuova emigrazione" che contribuisce allo sviluppo delle terre in cui opera pur senza avere il vantaggio, proprio dei Paesi Europei, di trovarsi a contatto con una cultura e con un sistema di valori per molti aspetti comune. Questo limite impedisce, a differenza che in Europa, una piena e vera integrazione delle nostre comunità in questi Paesi, ma nonostante ciò gli Italiani hanno saputo creare anche qui un clima di civile e serena convivenza, e guadagnandosi la stima e il rispetto dei Paesi di accoglimento e delle loro popolazioni. Quale risultato può essere più importante in un'epoca di tensioni e conflitti tra civiltà?
Nessuno ha detto che non ci sono nemici, come altrettanto è falso dire che non ci sono amici, ma il dialogo in tutte le sue forme, inter-religioso, culturale, politico, deve consolidarsi in circuiti virtuosi di amicizia e di solidarietà.
Nessuno è eterno nemico, soprattutto se si vuole amico e compagno, disponibile a dividere con l'altro, per tentare di creare una civilizzazione universale, un insieme islamico-latino, un mondo del Mediterraneo portatore di futuro.
I tempi moderni vogliono imporci l'idea che non vi sia nulla di politico, nulla di religioso.
In questo disordine i seguaci dell'odio tentano di farci credere che l'inferno è "l'altro", e cioè per gli uni le religioni percepite come il peggiore delle ideologie alienanti, per gli altri la libertà sarebbe il pericolo.
Nel contesto della depoliticizzazione paralizzante, per alcuni, "l'invenzione del nemico", ci dice Derida, "produce l'urgenza e l'angoscia".
In effetti, commenta Cherif Mustapha, la confusione è totale, la soggettività vince sull'oggettività, il sentimento personale privato dell'ordine dalla mancanza di riflessione, incide sull'analisi della situazione concreta, fintanto che la filosofia moderna ci dice che la nozione di nemico privato non avrebbe alcun senso.
Dunque l'opera così importante dei nostri connazionali in questi Paesi dovrebbe essere sempre ricordata dalla madrepatria, anche se purtroppo questo non sempre accade. Ci riferiamo al vergognoso problema del trattamento sanitario per i nostri connazionali all'estero, che urge una riforma immediata di adeguamento a quei principi minimi di civiltà di cui dovremmo essere portatori; sono il riconoscimento minimo a quegli Italiani che servono la loro Patria nella situazione spesso più difficile. Come in quelle situazioni di profonda tensione culturale in cui si inseriscono le nostre comunità nel Maghreb.
Queste comunità, oltre che dall'Italia, dovrebbero essere prese ad esempio più spesso dalla stessa Europa. Nel perseguire l'ambizioso obiettivo della piena integrazione, infatti, come non guardare a quei nostri connazionali che, presenti in Africa, si confrontano giorno per giorno con una cultura così diversa, nella continua ricerca di un punto di equilibrio, del rispetto reciproco, del dialogo costruttivo? La loro esperienza deve esserci di concreto esempio: se loro sono riusciti, pur a costo di sacrifici, a raggiungere quel grande traguardo di civile convivenza su un terreno così delicato, tanto più noi "cittadini europei", che ci vantiamo di credere negli stessi valori, dobbiamo saperci integrare nel rispetto delle nostre molteplici identità. Un'esperienza pertanto, quella dei nostri connazionali in Africa, che dobbiamo avere la saggezza di prendere a punto di riferimento. Un ulteriore aiuto a quel cammino di integrazione europea che, seppur in fase così avanzata, sembra ancora difficile ed irto di ostacoli.
Nella serenità, la vigilanza, e nella chiaroveggenza preserviamo le nostre capacità di discernimento, continuiamo più che mai ad accogliere "l'altro", come diceva Levinas "ogni altro", a difendere "la libertà" come fondamento dell'esistenza, senza perdere la nostra anima.
Vico diceva giustamente: il cielo blu appartiene a tutta l'umanità.