Fra poche ore, il 29
Ottobre, sarà firmata a Roma la Costituzione Europea: una svolta
epocale. Un traguardo estremamente importante, un punto di svolta
nel processo di integrazione di questa Europa sempre più unita, e
da cui tutti dovremo trarre nuovo slancio per lavorare insieme alla
soluzione degli ancora troppi problemi che vengono frapposti a
questo processo.
Inutile dire che le nostre comunità all'estero saranno, insieme
agli altri, tra i protagonisti nella realizzazione di questo
ambizioso obiettivo.
Storicamente, siamo di diritto tra i "Padri Fondatori" di
questa Europa nata dalle idee illuminate di tre statisti che hanno
saputo guardare lontano: Schumann, Adenauer, De Gasperi, che tanto
ha creduto in quella che, all'epoca, tanti consideravano un'utopia.
Da allora, molto si è fatto. Ed i traguardi raggiunti sono il
frutto anche del lavoro silenzioso e dei sacrifici con cui le
comunità italiane hanno saputo farsi accettare, apprezzare, ed
infine integrarsi, vincendo la diffidenza iniziale con cui molti
Paesi Europei li accoglievano. Pensate alla tragedia di Marcinelle e
dei suoi minatori: morti mentre, nel loro piccolo, lavoravano
anch'essi nel disegno più ampio dell'integrazione.
È stato un lavoro umile, paziente, ma che ha fatto molto più di
quanto non venga ancora riconosciuto per trasformare un'integrazione
puramente "di facciata" in una multiculturalità vera che
dovrà essere il tratto caratterizzante di un'Unione Europea che
aspiri ad essere unità non di Governi, ma di popoli.
Con la firma della Costituzione Europea, siamo di un passo più
vicini a questo traguardo, e questo ci deve spronare ad accelerare
le tappe. In questo senso, ci feriscono e ci preoccupano alcuni
elementi stridenti in questo quadro di integrazione. Discriminazioni
gravissime nei confronti di tanti italiani, residenti in Paesi che
dovrebbero essere in prima linea a difesa dell'europeismo, e che
invece ancora negano permessi di soggiorno, cittadinanza o che
addirittura espellono i nostri connazionali. Simili comportamenti,
sintomo di una comprensione non ancora piena di ciò che l'Europa
significa e comporta, devono essere denunciati duramente e risolti
perché, oltre ad essere una grave ingiustizia, non fanno che minare
e rallentare quella piena integrazione per cui tanto si è lavorato
e si lavora.
Non ci meraviglia che i Paesi responsabili di simili comportamenti,
sono gli stessi che oggi, portando avanti una politica
anacronistica, rivendicano da soli un seggio permanente in seno alle
Nazioni Unite.
Bene ha fatto il nostro Presidente Ciampi a stigmatizzare questo
comportamento. Bene ha fatto il nostro Ministro degli Esteri
Frattini a non raccogliere una sfida di così infimo livello, e
piuttosto a lanciare l'idea di un seggio permanente per l'Unione
Europea. Che senso ha infatti parlare di Costituzione Europea, di
Ministro degli Esteri Europeo, per poi mostrarsi divisi e litigiosi
nel fondamentale contesto di un'ONU che affronta con fatica la
propria riforma interna?
Simili tensioni vanno superate, se vogliamo attuare davvero quel
"Terzo Pilastro" dell'Unione, quello "Spazio comune
di giustizia e sicurezza" rimasto in larga parte sulla carta, e
che oggi con la nuova Costituzione ha una chance di tramutarsi in
realtà.
Dobbiamo formare, soprattutto nei giovani che vedono l'Europa
distante e impersonale, una vera cultura dell'integrazione, alla
luce dei tanti valori che le nostre diverse "anime"
europee hanno saputo produrre, nel loro contributo unico e
caratteristico al processo d'integrazione. In questo senso,
diventano essenziali le forme di gestione dell'istruzione e della
formazione professionale, che possono costituire veicoli di
trasmissione di quei valori e di quell'europeismo vero che era nella
mente e nel cuore di De Gasperi e degli altri "Padri
Fondatori".
Ma in quei valori dobbiamo essere i primi a crederci, altrimenti non
riusciremo mai a trasmetterli. Certo non aiuta il negare, quasi con
vergogna, le proprie radici, come è stato fatto con il mancato
richiamo, nel Preambolo della Costituzione Europea, alle radici
cristiane dell'Europa.
In un'epoca di fondamentalismi e scontri dettati dall'appartenenza
religiosa, negare le proprie origini alla ricerca di un
appiattimento pacificatore non sarà d'aiuto. E' illuminante al
riguardo il commento di Magdi Allam: "Se l'Europa non ha il
coraggio di rispettare la propria identità, ci viene il dubbio che
non sia capace di rispettare neanche la nostra". Soltanto
conoscendo e rispettando se stessi, si può capire ed accettare
anche chi è diverso da noi.
L'omologazione non può essere la soluzione: proprio in un'Europa
omologata ed appiattita, infatti, rischiano di venire fuori con
violenza le inevitabili diversità che permangono tra le nostre
molteplici identità nazionali ed il confronto e l'integrazione
rischiano di trasformarsi in scontro.
Bene dice l'islamologo Mustapha Cherif: "La presa di coscienza
delle differenze, degli antagonismi, delle contrarietà, non
autorizza a cadere nell'odio e la xenofobia, che sono pura cecità".
Il ruolo, l'obiettivo tendenziale dell'Unione Europea non deve, non
può essere quello di creare una sorta di "modello unico
europeo" che tenti di seppellire le nostre molteplici identità,
che sono anche la nostra ricchezza. Al contrario, il ruolo
dell'Europa dovrebbe essere quello di esaltare le caratteristiche di
queste sue diverse anime, nel creare una "identità
comunitaria" che non prescinda da quelle sue sacrosante
diversità che nel corso dei secoli sono state la base dell'estro,
della creatività, di un'Europa "culla della civiltà".
Un'Europa delle nazioni dunque, che non vuol dire, si badi bene,
perdere una forte identità comunitaria, ma anzi accrescere tale
identità, arricchendosi reciprocamente delle proprie diversità.
Questo ci porta, dopo aver visto l'importanza delle nostre comunità
in Europa per il processo di integrazione, all'Africa.
Ad un'analisi superficiale e poco attenta, la situazione delle
comunità italiane in Africa sembrerebbe ben poco correlata con una
Costituzione Europea che riguarda in maniera così profonda i Paesi
dell'Unione, tra cui l'Italia, e quindi le nostre comunità
presenti, in maniera più o meno omogenea, sull'intero territorio
europeo.
L'attenzione, tutta rivolta a quelle che sono le dinamiche del
confronto, spesso anche serrato, tra i diversi membri dell'UE,
sembra non potersi rivolgere ad altro che a cercare un punto
d'incontro tra noi "cittadini d'Europa"; e guardare per un
attimo a quella realtà esterna e distante che è l'Africa
sembrerebbe non solo inappropriato, ma persino fuorviante.
Ma osservando più attentamente lo scenario, siamo così sicuri che
l'Africa sia veramente distante dalle tematiche in discussione?
Il ruolo dell'Europa, qualunque sia l'evoluzione possibile del
Continente Africano che si voglia prospettare, non può non essere
fondamentale, considerati i legami storici che legano le nostre due
realtà da secoli, su questo "ponte naturale" che è il
mar Mediterraneo, in un equilibrio posto così bene in evidenza dai
testi di Fernand Braudel.
Fin dagli anni '70, la consapevolezza di questo imprescindibile
ruolo ha portato l'Europa a dare inizio ad una serie di azioni che
diedero vita ad una storica stagione di cooperazione: basti
ricordare il "Dialogo Euro-Arabo" del 1973 e il
"dialogo Mediterraneo" del 1995.
Proprio in questo processo di progressivo interessamento dell'Europa
nei confronti dell'Africa attraverso il comune denominatore, il
Mediterraneo, si inserisce il ruolo sempre più significativo e di
primo piano assunto dall'Italia e dagli italiani negli ultimi
decenni, affermatosi in Paesi, come quelli del Maghreb, dove
l'Italia era stata per anni relegata esclusivamente al ruolo di
sgradita ex-potenza colonizzatrice della Libia.
Abbiamo quindi un nuovo fenomeno, dopo una "prima
emigrazione" i cui meriti, specie nella modernizzazione di
questi Paesi, non vanno dimenticati ma che ormai è in fase di
inevitabile esaurimento: abbiamo una "nuova emigrazione"
fatta di imprenditori, tecnici a seguito d'impresa, professionisti
che operano in ogni campo e che si spostano non costretti dalla
necessità, ma con la determinazione di chi è consapevole di andare
a creare lavoro, occupazione, nuove infrastrutture ed opportunità
in Paesi per molti aspetti ancora "vergini" e che tanto
necessitano di proficui investimenti per la loro economia.
Questa circostanza rende ancora più importante e degna di merito
l'azione che gli italiani hanno portato avanti in questi Paesi con
serietà, costanza, impegno e sacrificio, spesso dovendosi
confrontare con una cultura araba omogenea e da sempre in rapporto
conflittuale con l'occidente, specie in tema di appartenenza
religiosa. Un'azione grazie alla quale gli italiani sono ormai da
anni presenti come comprimari in Algeria e Tunisia, ex colonie
francesi, e praticamente unici protagonisti in Libia.
Grazie alla serietà di questi italiani che sono riusciti ad essere
allo stesso tempo internazionali ("l'altra Italia", per
usare la terminologia del Ministro per gli Italiani all'Estero, On.
Tremaglia), la supremazia della Francia è stata affiancata e poi
sostituita già negli anni '70. Questo risultato è stato
primariamente una conquista proprio degli italiani in Maghreb: una
"nuova emigrazione" che contribuisce allo sviluppo delle
terre in cui opera pur senza avere il vantaggio, proprio dei Paesi
Europei, di trovarsi a contatto con una cultura e con un sistema di
valori per molti aspetti comune. Questo limite impedisce, a
differenza che in Europa, una piena e vera integrazione delle nostre
comunità in questi Paesi, ma nonostante ciò gli Italiani hanno
saputo creare anche qui un clima di civile e serena convivenza, e
guadagnandosi la stima e il rispetto dei Paesi di accoglimento e
delle loro popolazioni. Quale risultato può essere più importante
in un'epoca di tensioni e conflitti tra civiltà?
Nessuno ha detto che non ci sono nemici, come altrettanto è falso
dire che non ci sono amici, ma il dialogo in tutte le sue forme,
inter-religioso, culturale, politico, deve consolidarsi in circuiti
virtuosi di amicizia e di solidarietà.
Nessuno è eterno nemico, soprattutto se si vuole amico e compagno,
disponibile a dividere con l'altro, per tentare di creare una
civilizzazione universale, un insieme islamico-latino, un mondo del
Mediterraneo portatore di futuro.
I tempi moderni vogliono imporci l'idea che non vi sia nulla di
politico, nulla di religioso.
In questo disordine i seguaci dell'odio tentano di farci credere che
l'inferno è "l'altro", e cioè per gli uni le religioni
percepite come il peggiore delle ideologie alienanti, per gli altri
la libertà sarebbe il pericolo.
Nel contesto della depoliticizzazione paralizzante, per alcuni,
"l'invenzione del nemico", ci dice Derida, "produce
l'urgenza e l'angoscia".
In effetti, commenta Cherif Mustapha, la confusione è totale, la
soggettività vince sull'oggettività, il sentimento personale
privato dell'ordine dalla mancanza di riflessione, incide
sull'analisi della situazione concreta, fintanto che la filosofia
moderna ci dice che la nozione di nemico privato non avrebbe alcun
senso.
Dunque l'opera così importante dei nostri connazionali in questi
Paesi dovrebbe essere sempre ricordata dalla madrepatria, anche se
purtroppo questo non sempre accade. Ci riferiamo al vergognoso
problema del trattamento sanitario per i nostri connazionali
all'estero, che urge una riforma immediata di adeguamento a quei
principi minimi di civiltà di cui dovremmo essere portatori; sono
il riconoscimento minimo a quegli Italiani che servono la loro
Patria nella situazione spesso più difficile. Come in quelle
situazioni di profonda tensione culturale in cui si inseriscono le
nostre comunità nel Maghreb.
Queste comunità, oltre che dall'Italia, dovrebbero essere prese ad
esempio più spesso dalla stessa Europa. Nel perseguire l'ambizioso
obiettivo della piena integrazione, infatti, come non guardare a
quei nostri connazionali che, presenti in Africa, si confrontano
giorno per giorno con una cultura così diversa, nella continua
ricerca di un punto di equilibrio, del rispetto reciproco, del
dialogo costruttivo? La loro esperienza deve esserci di concreto
esempio: se loro sono riusciti, pur a costo di sacrifici, a
raggiungere quel grande traguardo di civile convivenza su un terreno
così delicato, tanto più noi "cittadini europei", che ci
vantiamo di credere negli stessi valori, dobbiamo saperci integrare
nel rispetto delle nostre molteplici identità. Un'esperienza
pertanto, quella dei nostri connazionali in Africa, che dobbiamo
avere la saggezza di prendere a punto di riferimento. Un ulteriore
aiuto a quel cammino di integrazione europea che, seppur in fase così
avanzata, sembra ancora difficile ed irto di ostacoli.
Nella serenità, la vigilanza, e nella chiaroveggenza preserviamo le
nostre capacità di discernimento, continuiamo più che mai ad
accogliere "l'altro", come diceva Levinas "ogni
altro", a difendere "la libertà" come fondamento
dell'esistenza, senza perdere la nostra anima.
Vico diceva giustamente: il cielo blu appartiene a tutta l'umanità.
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