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Articolo di Franco Santellocco

La nuova presenza italiana all’estero e l’evoluzione degli strumenti contrattuali

Ormai da anni, una “nuova emigrazione”, composta da italiani che si muovono al seguito delle nostre imprese (tecnici, ingegneri, imprenditori), si sta consolidando in ogni parte del mondo, dando lustro al nostro Paese ed una boccata d’ossigeno alla nostra economia.
Anche se, da sempre, il trasferirsi fuori dai confini nazionali ha comportato e comporta molti problemi, questi erano tali da poter essere risolti con inventiva, con entusiasmo, con la capacità di adattamento che da sempre caratterizza i nostri connazionali nei loro rapporti con il resto del mondo.
Con il passare del tempo, tuttavia, l’incessante e sempre più veloce evoluzione delle nostre società ha portato all’introduzione, nella contrattualistica internazionale, di meccanismi e strumenti sempre più sofisticati. Questo ha portato, spesso, i nostri imprenditori a doversi confrontare con strumenti contrattuali sempre più capziosi e sofisticati, che necessitano ormai, onde evitare brutte sorprese, una buona base di conoscenze giuridiche per essere negoziati e interpretati.
Converrà analizzare qualcuno degli aspetti più delicati di tali strumenti, che potrebbero creare non pochi grattacapi nei rapporti commerciali con l’estero.
Uno dei più delicati problemi che da sempre affligge i nostri imprenditori che scelgono la strada dell’investimento all’estero, è l’eventuale risoluzione delle controversie nascenti da contratti caratterizzati dalla diversa nazionalità delle parti, che per questo creano cavillosi problemi di ricerca del giudice nazionale competente e che spesso, anche una volta trovato tale giudice, riservano bruttissime sorprese per l’imprenditore italiano interessato.
Questo problema è particolarmente accentuato nei rapporti con i Paesi in via di sviluppo, le cui garanzie sul versante della tutela giurisdizionale sono, nella migliore delle ipotesi, di dubbia efficacia, ed addirittura insussistenti nella maggior parte dei casi.
Un caso limite, emblematico, a questo riguardo, il caso di un nostro connazionale, imprenditore in Nord Africa, che si è trovato, per ottenere il corrispettivo pattuito da contratto, a doversi rivolgere al tribunale locale, nella fattispecie rappresentato da un giudice cieco e che pretendeva la traduzione di tutti gli atti processuali non solo in arabo, ma addirittura in linguaggio Braille.
E’ chiaro che, in simili condizioni, la propensione dei nostri connazionali all’investimento in questi Paesi è frenata dalla mancanza, spesso, di adeguate garanzie in caso di controversie, visto che praticamente in tutti i Paesi dell’area è prevista in tali situazioni la competenza esclusiva dei giudici locali.
L’unico modo per risolvere questo problema, considerando che è anche l’unico mezzo per derogare alla competenza dei giudici statali, è rappresentato dalla predisposizione nei contratti di clausole arbitrali, che consentano di deferire le eventuali controversie a Tribunali Arbitrali composti da giudici privati nominati dalle parti.
Questo sistema, dell’arbitrato commerciale internazionale, presenta innumerevoli vantaggi. In primo luogo, garantisce il rispetto del contraddittorio e pone entrambi i litiganti su un piano di parità sostanziale, e non soltanto formale. Risultato garantito dal fatto che gli arbitri sono nominati dai litiganti stessi, che possiedono a tal fine i medesimi poteri.
In secondo luogo, la nomina degli arbitri ad opera dei litiganti spesso è sinonimo di garanzia dell’imparzialità e prestigio delle personalità nominate arbitri, e della loro esperienza nel particolare tipo di controversia che viene posta alla loro attenzione.
Nonostante i suoi indubbi vantaggi, che ne hanno garantito un’ampia diffusione nell’ambito dei Paesi occidentali, il meccanismo arbitrale è ancora scarsamente utilizzato nei rapporti commerciali con i Paesi in via di sviluppo, e ciò per un duplice ordine di ragioni.
In primis, tali Paesi sono ancora scarsamente favorevoli all’arbitrato, che è considerato come un’invenzione dei Paesi Occidentali a loro uso e consumo, ed attraverso cui intaccare la loro sovranità nazionale.
Ma non si deve dimenticare, e veniamo al secondo ordine di ragioni, che questa scarsa conoscenza ed apprezzamento dell’arbitrato da parte dei Paesi in via di sviluppo è conseguenza anche della scarsa attenzione a questo riservata dagli stessi imprenditori occidentali. Infatti, questi ultimi sono troppo spesso interessati a negoziare al meglio soltanto gli aspetti economici del contratto, e non si dimostrano disposti ad alcun negoziato, troppo lungo e dispendioso, per stabilire eventuali mezzi alternativi di risoluzione di controversie del tutto eventuali. Ecco allora che le clausole riguardanti la soluzione dei conflitti ed i relativi tribunali competenti sono spesso clausole “di stile”, inserite in maniera del tutto automatica e senza alcuna attenzione.
Sono proprio questi gli atteggiamenti da combattere, attraverso una positiva opera di promozione e sensibilizzazione all’arbitrato, sia qui da noi che da loro, per mettere in evidenza l’importanza del problema ed i vantaggi che una più oculata negoziazione dei contratti può portare.
Nel lungo periodo, è questo il modo per consentire uno sviluppo sano dei rapporti commerciali internazionali con i Paesi in via di sviluppo. Rapporti particolarmente delicati e che devono essere basati sul rispetto e sulla fiducia reciproca, una fiducia che potrà essere conquistata pienamente soltanto con la garanzia di una risoluzione davvero imparziale e totalmente de-politicizzata di ogni eventuale controversia che possa insorgere.

Franco Santellocco
12 gennaio 2004