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CGIE: l’intervento di Franco Santellocco ai lavori della Commissione Continentale per l’Europa e il Nord Africa (Lussemburgo, 6-8 novembre)

“Europa-Africa: diritti fondamentali e reciproco confronto”

Gli italiani in Maghreb: una “nuova emigrazione” che contribuisce allo sviluppo delle terre in cui opera e si guadagna la stima e il rispetto dei Paesi di accoglimento

AIE - Nei giorni 6, 7 e 8 novembre si è riunita a Lussemburgo la Commissione Continentale CGIE Europa e Nord Africa. Ai lavori è intervenuto il Presidente della V Commissione CGIE, Franco Santellocco.

Pubblichiamo di seguito la Relazione del Consigliere Franco Santellocco su “Europa-Africa: diritti fondamentali e reciproco confronto”.

Premessa

Ad un’analisi superficiale e poco attenta, la situazione delle comunità italiane in Africa sembrerebbe ben poco correlata con un progetto di Carta Europea che riguarda in maniera così profonda i Paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, e quindi le nostre comunità presenti, in maniera più o meno omogenea, sull’intero territorio europeo.

L’attenzione, tutta rivolta a quelle che sono le dinamiche del confronto, spesso anche serrato, tra i diversi membri dell’UE, sembra non potersi rivolgere ad altro che a cercare un punto d’incontro tra noi “cittadini d’Europa”; e guardare per un attimo a quella realtà esterna e distante che è l’Africa sembrerebbe non solo inappropriato, ma persino fuorviante.

Ma osservando più attentamente lo scenario, siamo così sicuri che l’Africa sia veramente distante dalle tematiche in discussione ?

Il ruolo dell’Europa, qualunque sia l’evoluzione possibile del Continente Africano che si voglia prospettare, non può non essere fondamentale, considerati i legami storici che legano le nostre due realtà da secoli, su questo “ponte naturale” che è il mar Mediterraneo.

Questo mare semichiuso non è un mare come altri: per dirla con Fernand Braudel, è un “complesso di mari: di mari ingombri d’isole, intersecati da penisole, circondati da coste frastagliate. La sua vita è intimamente legata a quella della terra, la sua storia non può essere dissociata dal mondo terrestre che lo circonda”.

Fin dagli anni ‘70, la consapevolezza di questo imprescindibile ruolo ha portato l’Europa a dare inizio ad una  serie di azioni che diedero vita ad una storica stagione di cooperazione: basti ricordare il “Dialogo Euro-Arabo” del 1973 e il “dialogo Mediterraneo” del 1995.

Contributo italiano in Africa e integrazione europea

Proprio in questo processo di progressivo interessamento dell’Europa nei confronti dell’Africa attraverso il nostro minimo comune denominatore, il Mediterraneo, si inserisce il ruolo sempre più significativo e di primo piano assunto dall’Italia e dagli italiani negli ultimi decenni, affermatosi in Paesi, come quelli del Maghreb, dove l’Italia era stata per anni relegata esclusivamente al ruolo di sgradita ex-potenza  colonizzatrice della Libia.

Proprio questa situazione di svantaggio iniziale, rende ancora più importante e degna di merito l’azione che gli italiani hanno portato avanti in questi Paesi con serietà, costanza, impegno e sacrificio, spesso dovendosi confrontare con una cultura araba omogenea e da sempre in rapporto conflittuale con l’occidente, specie in tema di appartenenza religiosa. Un’azione grazie alla quale gli italiani sono ormai da anni presenti come comprimari in Algeria e Tunisia, ex colonie francesi, e praticamente unici protagonisti in Libia.

Grazie alla serietà di questi italiani che sono riusciti ad essere allo stesso tempo internazionali (“l’altra Italia”, per usare la terminologia del Ministro per gli Italiani all’Estero, On. Tremaglia), la supremazia della Francia è stata affiancata e poi sostituita già negli anni ‘70.

Questo risultato è stato primariamente una conquista proprio degli italiani in Maghreb: una “nuova  emigrazione” che contribuisce allo sviluppo delle terre in cui opera e si guadagna la stima e il rispetto dei Paesi di accoglimento. Quale risultato può essere più importante in un’epoca di tensioni e conflitti tra civiltà?

L’opera dei nostri connazionali in questi Paesi dovrebbe essere sempre ricordata dalla madrepatria, anche se purtroppo questo non sempre accade. Ci riferiamo al vergognoso problema del trattamento sanitario per i nostri connazionali all’estero, che urge una riforma immediata di adeguamento a quei principi minimi di civiltà di cui dovremmo essere portatori e che sono il riconoscimento minimo a quegli Italiani che servono la  loro Patria nella situazione spesso più difficile.

Ed è proprio in situazioni di profonda tensione culturale che si inseriscono le nostre comunità in Africa, in apparente antitesi ad un’Europa invece sempre più  omogenea e dove la presenza dei nostri emigranti si pone sempre più in termini di profonda integrazione nei rispettivi Paesi di residenza.

In questa Europa, dove ormai si parla apertamente di vera e propria “cittadinanza dell’Unione”, e dove siamo profondamente uniti da valori comuni che ci permettono di integrarci all’insegna di quei diritti fondamentali che costituiscono il nostro minimo comune denominatore, l’Africa, il cui rapporto con lo straniero non riesce ad andare oltre una “civile convivenza e rispetto”, ben lontane da qualsiasi forma d’integrazione, può sembrare davvero agli  antipodi.

Ma non è tutto oro quel che luccica.

Volendo tralasciare quei casi di macroscopiche discriminazioni che ancora si verificano anche in questa “illuminata Europa” nei confronti delle nostre comunità (un esempio su tutti: le “espulsioni facili” dalla Germania), bisogna anche saper diffidare di un’integrazione che rischia di sfociare in omologazione, con conseguenze rovinose. Proprio in un’Europa omologata ed appiattita, infatti, rischiano di venire fuori con violenza le inevitabili diversità che permangono tra le nostre molteplici identità nazionali, ed il confronto e l’integrazione rischiano di trasformarsi in scontro.

Il ruolo, l’obiettivo tendenziale dell’Unione Europea non deve, non può essere quello di creare una sorta di “modello unico europeo” che tenti di seppellire le nostre molteplici identità, che sono anche la nostra ricchezza. Al contrario, il ruolo dell’Europa dovrebbe essere quello di esaltare le caratteristiche di queste sue diverse anime, nel creare un’ “identità comunitaria” che non prescinda da quelle sue sacrosante diversità  che nel corso dei secoli sono state la base dell’estro, della creatività, di un’Europa “culla della civiltà”.

Un’Europa delle nazioni dunque, che non vuol dire, si badi bene, perdere una forte identità comunitaria, ma anzi accrescere tale identità, arricchendosi reciprocamente delle proprie diversità.

E nel perseguire un simile obiettivo, come non guardare a quei nostri connazionali che, presenti in Africa, si confrontano giorno per giorno con una cultura così diversa, nella continua ricerca di un  punto di equilibrio, del rispetto reciproco, del dialogo costruttivo?

La loro esperienza deve esserci di concreto esempio: se loro sono riusciti, pur a costo di sacrifici, a raggiungere quel grande obiettivo di civile convivenza su un terreno così delicato, tanto più noi “cittadini europei”, che ci vantiamo di credere negli stessi valori, dobbiamo saperci integrare nel rispetto delle nostre molteplici identità.

Un’esperienza pertanto, quella dei nostri connazionali in Africa, che dobbiamo avere la saggezza di prendere a punto di riferimento. Un ulteriore aiuto a quel cammino di integrazione europea che, seppur in fase così avanzata, sembra ancora difficile ed irto di ostacoli.

Europa ed Africa, oggi

Ma il rapporto con la sponda Sud di questo mar Mediterraneo che ci unisce, quasi come un grande lago di un unico, grande continente, non può limitarsi a questo. Se è vero infatti che  l’Africa, attraverso l’esperienza e l’esempio degli italiani che lì vivono e lavorano, può essere di grande aiuto al processo di integrazione europea, è ancor più vero che anche l’Europa può e deve dare tanto per l’Africa.

Ci  riferiamo ovviamente alla situazione catastrofica in cui resta l’Africa di oggi, e che l’Europa non può ignorare se aspira ad essere un vero punto di riferimento, non solo economico ma, quel che è più, sociale e morale per il mondo.

L’Europa ha investito in Africa 9.000 miliardi  attraverso  il  progetto  MEDA, ai quali se ne sono aggiunti altrettanti dalla Banca Europea per gli Investimenti.

Ma se confrontiamo questi valori con quelli che l’U.E. ha messo in campo per sostenere la politica di maggiore integrazione con i Paesi dell’Est europeo, si nota immediatamente il diverso peso, la diversa valenza strategica che l’U.E. attribuisce ai due processi politici.

C’è un urgente bisogno di cambiare strada per creare l’area di libero scambio con i Paesi del Mediterraneo e l’Unione Europea su livelli globali.

Per raggiungere questa meta c’è bisogno di cooperazione e di impegno politico su scala totale europea e forti spinte da tutte le forze del mondo industriale e commerciale.

La domanda ora è: l’Ue avrà davvero la forza di caricarsi di questo fardello che le spetta, oppure la debolezza e l’ipocrisia avranno la meglio facendole voltare le spalle?

E’ una sfida importante per un’Europa che si rende baluardo di una grande cultura di tolleranza, solidarietà e rispetto dei fondamentali, sacrosanti diritti dell’uomo.

Allo stesso tempo, è una sfida a cui l’Europa deve rispondere in tempi brevi, altrimenti non vi potrà  rispondere più. Anche perché se allarghiamo la nostra visuale anche al continente subsahariano ci rendiamo conto della situazione disastrosa dell’Africa: senza un intervento serio ed efficace in tempi brevissimi, l’Africa morirà.

E l’Europa, volente o nolente, sarà ampiamente responsabile del destino dell’Africa. Qualunque esso sia.

Si comprende allora  l’importanza di iniziative come quella del  Ministro per gli  Italiani nel Mondo, Mirko Tremaglia, che ha auspicato la realizzazione di un piano europeo di investimenti trentennale in Nord Africa per dare lavoro a 20 milioni di persone, con  l’obiettivo “di frenare l’esodo degli immigrati, di eliminare ogni impostazione assistenzialistica, di combattere la fame nel mondo e di impegnare Governi nazionali ed Unione Europea ad intraprendere tutte le iniziative concrete e necessarie per dare dignità al lavoro”.

Un fattivo intervento dell’Europa per l’Africa è tanto più importante, quanto più si considera che al di là dell’aspetto più prettamente economico esaminato, resta ancora un importantissimo contributo  “politico” che possiamo dare a questi Paesi limitrofi, e senza il quale ogni contributo economico  perde significato e utilità.

Ci si riferisce proprio al progetto di Carta Sociale europea, che dovrebbe contenere quei valori comuni e quei diritti politici che hanno permesso alle diverse e molteplici realtà europee di crescere e diventare grandi insieme e con grande equilibrio.

Di ovvia importanza fondamentale primariamente per noi “cittadini d’Europa”, la stesura di questa Carta  Sociale rappresenta anche un’occasione unica per consacrare in un documento di tale rilevanza quei valori, quella cultura, quel modello di vita di cui ci facciamo baluardo e che ci rende orgogliosi di essere Europei e di comunicarlo  al mondo, di farlo conoscere, di rendere  partecipi di questa nostra società quelle nazioni della nostra sponda Sud che tanto bisogno hanno di paletti sicuri con cui delimitare il loro cammino verso la democrazia.

E nel promuovere questa “cultura della democrazia” in questi Paesi non aiuteremo soltanto loro, ma ovviamente anche tutte le nostre comunità italiane lì presenti che oggi sono ancora alle prese con terribili problemi che a noi sembrano l’arcaico retaggio di un’altra epoca. Un esempio su tutti: la tragica situazione dei nostri connazionali in Eritrea, spesso ancora colpiti dal problema della titolarità  ei beni.

Questo dovrebbe essere la Carta Europea: una scia luminosa che marchi il cammino da noi percorso  per permettere a chi è rimasto indietro di non perdere la strada, così che possa, se vuole, seguirci senza troppe difficoltà. Questa strada verso la democrazia per molti è ancora lunga, e come possiamo sperare che venga da loro seguita se, nella nostra presuntuosa superiorità, non troviamo il tempo e l’umiltà di tendere loro la mano ?

Questa è l’unica soluzione possibile, anche in riferimento ai sempre maggiori problemi di instabilità connessi alla pressione migratoria che l’Africa continua ad esercitare sui Paesi europei. Come pensiamo di risolvere il  problema, se il Mediterraneo  ha sempre maggiori difficoltà a mantenere il posto d’onore nell’agenda dell’U.E. conquistato con la Conferenza di Barcellona ?

Pressione migratoria ed Islam

Ben si comprende allora Gianni De Michelis che, dalle colonne di Area, lamenta il pericolo che il Mediterraneo diventi una nuova cortina di ferro tra Occidente e Islam.

«La conoscenza, unica via contro l’odio» … e contro le guerre, aggiungo io, estendendo un concetto di Franco Cardini che afferma in un suo scritto: “Filoislamismo e antislamismo sono infami e funesti come filoamericanismo e antiamericanismo, filosemitismo e antisemitismo”, e termina con parole lapidarie e conclusive: «l’odio è una funzione dell’ignoranza, punto e basta». Verità ancora più conclamata se stiamo alle parole di Gilles Kepel (Docente all’Istituto di studi politici di Parigi), il quale svolge un’interessante tesi dal titolo “Eutanasia per i fanatici” (v. Panorama n. 37/2002): «Dire che abbiano fallito (i terroristi, ndr) sembra assai contraddittorio quando la molta attenzione data a Osama bin Laden e seguaci ha garantito loro la visibilità che desideravano». E a supporto della tesi aggiunge: «… la maggior parte degli islamici ha seguito gli Imam che hanno rifiutato di appoggiarlo, visto che temevano di essere trascinati in un distruttivo confronto con l’Occidente». Dunque, contrariamente a quanto si sia indotti a credere, anche a causa di una “certa” informazione, l’Islam (che conta oltre un miliardo di fedeli) non sta marciando unito contro l’Occidente infedele, e non ha niente a che vedere con l’estremismo islamista che, a sua volta, non è una realtà compatta bensì frammentata in una miriade di divisioni ideologico-politiche in lotta fra loro. Anzi Magdi Allam nel suo libro Diario dall’Islam ci rammenta che le prime vittime dell’integralismo islamico sono stati proprio i popoli musulmani che esprimono un Islam moderato.

Con  il pericolo di un’Europa sempre più proiettata verso Est lungo la tradizionale via di espansione dei popoli germanici, si comprende chi pretende con forza una dimensione Mediterranea dell’Europa: se si devono investire risorse per la coesione interna verso Est, lo stesso deve accadere per la coesione esterna verso Sud.

Il rischio da evitare è quello che all’allargamento ad Est dell’Unione Europea faccia riscontro una attenuazione dell’impegno ed una riduzione delle risorse disponibili per l’area mediterranea.

L’Europa si trova ora ad un bivio: riprendere con slancio rinnovato l’iniziativa per la stabilità dell’area del mediterraneo o rassegnarsi a subire le conseguenze di fattori destabilizzanti sempre più forti.

Il futuro del partenariato, infatti, non è una questione settoriale e secondaria, ma sempre più coincide con il futuro della stessa Europa.

E soltanto attraverso la creazione di una vera cultura della tolleranza e della democrazia, i problemi dell’Africa di oggi potranno essere finalmente risolti. E’ l’unico modo. Non possiamo sperare di risolvere il problema dell’immigrazione ponendo un muro tra noi e loro. I muri non sono mai una soluzione efficace, e ne abbiamo avuto un’evidente prova nel 1989.

Scriverà Giovanni XXIII nell’indimenticabile enciclica “Pacem in terris”: “Ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’intero della comunità politica di cui è cittadino, ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consigliano, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse”

Anche perché, come giustamente sottolineato da Franco Narducci in occasione della commemorazione dei minatori italiani morti a Marcinelle, “Il mercato del lavoro italiano, cresciuto per anni senza una seria politica di orientamento professionale, ha bisogno del lavoro degli immigrati: molte mansioni lavorative, specie se disagevoli e faticose, ma comunque necessarie, sono rifiutate dagli italiani”.

Ben si comprende allora il collega ed amico Ciucci, quando invoca per gli stranieri presenti sul nostro  territorio interventi  “per maggiori diritti e per una politica d’integrazione e solidarietà”.

Riflessioni conclusive

L’obiettivo non deve essere quello di bloccare l’immigrazione, fenomeno comunque necessario, ma di permetterne la regolarizzazione attraverso la normalizzazione dei Paesi da cui trae origine, nonché perseguendo l’integrazione degli immigrati nella cultura europea, pur nel rispetto delle loro tradizioni.

Ma come fare ad ottenere questo importante risultato ?

Non è facile. Un importantissimo passo avanti in tal senso sta nella recentissima proposta del Vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini a favore dell’estensione del diritto di voto agli immigrati. Un  intervento assolutamente condivisibile e che risponde ad esigenze minime di civiltà già accolte da tempo in numerosi Paesi occidentali.

Permettetemi di concludere con un invito che è anche una speranza: puntare di più sulla strada della sensibilizzazione giovanile.

Sono sempre più numerosi i giovani extracomunitari, tra i 18 e i 25  anni, immigrati o figli di immigrati, che vivono nel nostro  Paese. Quanti di loro possono dirsi integrati? Quanti di loro frequentano le nostre scuole, le nostre Università o diventano amici dei nostri figli e nipoti ? Ancora troppo pochi. Eppure, sono  proprio  loro, data la giovane età ed i minori legami con i Paesi d’origine, che  possono  trovare più  facilmente nel nostro  Paese una vera e propria seconda Patria. Sono loro la punta di diamante di quella “Europa  elle multiculture” che non può chiudersi nell’orizzonte limitato dei suoi Paesi membri, ma deve sapersi aprire a questi suoi nuovi figli, cittadini a pari titolo, dalla cui presenza deve arricchirsi e che deve saper  accogliere, in un proficuo, reciproco scambio.

Con  questo obiettivo in mente, devono essere moltiplicate le iniziative, di solidarietà, volontariato, cultura, anche e  soprattutto per la  sensibilizzazione dei nostri giovani, troppo spesso indifferenti  a  queste importanti  tematiche che riguardano l’Africa, ma che sono  inscindibilmente connesse anche all’Europa.

Come ebbi a dire in altra occasione, il “continente solidale”  è proprio questo: acquistare coscienza che Europa ed Africa dovrebbero essere un’unica, grande realtà unita dal “lago” Mediterraneo, ed agire di conseguenza. Solo così un’Africa agonizzante potrà avere una possibilità di sopravvivenza, solo così un’Europa vecchia e stanca potrà trovare nuovo slancio: salvare l’Africa significa anche salvare noi stessi.

In quest’ottica, l’Italia deve prendere coscienza del suo ruolo chiave: ponte sul Mediterraneo, il  nostro Paese deve capire che la sopravvivenza dell’Africa passa anche e soprattutto attraverso un suo impegno in prima linea.

E’ questo l’unico modo per realizzare un sogno: il sogno di riportare l’Africa alla sua antica ricchezza, per farle riscoprire le sue tradizioni, la sua cultura, la sua grandezza che tanto hanno affascinato quei primi europei che l’hanno esplorata. Diversamente, questa terra misteriosa e bellissima, carica di passato e assetata di futuro, sarà perduta per sempre.

Prof. Franco Santellocco

Presidente V Commissione del CGIE