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Internazionalizzazione del sistema
economico italiano: intervista de “L’Imprenditore” al Ministro degli Affari
Esteri
AIE - Internazionalizzare il sistema economico italiano. Razionalizzare
il lavoro di tutte le nostre rappresentanze all’estero. Coordinare e
integrare uffici e funzioni. Monitorare i risultati per agire di
conseguenza. Sono i punti chiave della rivoluzione avviata alla Farnesina da
Franco Frattini, già magistrato, poi politico di punta di Forza Italia; ex
ministro della Funzione pubblica, oggi numero uno del dicastero degli
Esteri.
Vuole cambiare il modo di rappresentare nel mondo il nostro Paese, Frattini
dando alla routine diplomatica della Farnesina una decisa sterzata. Le 123
ambasciate e i 115 consolati sparsi per il mondo dovranno lavorare per il
nuovo “Ufficio Italia”, come lui stesso ha metaforicamente battezzato il
futuro ministero degli Esteri, che dovrà d’ora in poi rendere servizi
migliori e più efficienti, alle imprese e ai cittadini. Anche Ice (104
uffici all’estero) e Camere di Commercio (66 sedi fuori i confini nazionali)
dovranno rinnovarsi, dice il ministro, per “evitare duplicazioni”. Si dovrà,
in sostanza, ridurre quel mare di scrivanie oggi sistemate in decine di sedi
diverse, “doppioni” burocratici che riproducono all’estero l’andazzo tutto
nazionale di soffocare sotto un mare di carte la voglia di impresa e la
capacità di competere sui mercati internazionali. L’Italia non soffre –
sottolinea Frattini – una grave crisi di competitività. Il nostro sistema di
diffusa piccola e media impresa funziona e tutto il mondo ce la invidia.
Bisogna solo aiutarlo a crescere, facilitando l’iniziativa anche fuori dai
confini nazionali”.
Silvio Berlusconi da ministro degli Esteri ad interim aveva “sparato”
l’annuncio della trasformazione imminente della Farnesina in motore di
promozione economica delle nostre imprese nel mondo. Ambasciatori e consoli
si sarebbero adattati a interpretare non solo il tradizionale ruolo
diplomatico, ma anche quello di manager del nostro made in Italy. Che fine
ha fatto quel progetto?
Lo stiamo realizzando. Sono impegnato, su indicazioni del presidente del
Consiglio, in una attività che dia valore aggiunto alla nostra azione di
internazionalizzazione del sistema economico italiano. E’ un impegno che ho
ereditato da Berlusconi e per questo ho preso una serie di iniziative,
siglando, il 13 febbraio scorso, un’intesa politica con il ministro Marzano
per avviare un’attività congiunta tra il ministero degli Esteri e quello
delle Attività produttive. Vogliamo, insieme, fornire da subito un sostegno
alla promozione dell’imprenditoria nazionale.
In che modo?
Per prima cosa abbiamo completato la ricognizione della nostra rete
burocratico amministrativa all’estero, che risulta di gran lunga inferiore,
per risorse umane e finanziarie, a quella di Stati Uniti, Gran Bretagna e
Francia. Quello che abbiamo rilevato, però, è che i nostri uffici lavorano
anche in modo scoordinato. Intendiamo correggere questa situazione creando
un sistema di coordinamento maggiore, razionalizzando e in qualche caso
integrando le attività.
Facile a dirsi, ma altrettanto difficile a farsi. Le strutture
burocratiche-ministeriali sono particolarmente restie agli apporti e alle
collaborazioni esterne. Figuriamoci a coordinarsi con istituti di altri
ministeri. Come intendete procedere?
L’obiettivo è quello di migliorare i servizi alle imprese. Ci sono
certamente servizi non efficienti, inferiori alle aspettative ed alle
necessità. Così abbiamo chiesto ad ambasciatori, consoli e direttori Ice di
elaborare ogni sei mesi un rapporto, congiunto, su come funziona l’attività
di promozione economica. Abbiamo detto: “cominciate a lavorare insieme sul
territorio e fate sapere al livello centrale quali sono i risultati
dell’attività di promozione”. Così avremo uno strumento utile per
individuare i difetti del sistema e correggerli, utilizzando meglio le
risorse. Ma per far questo è necessario razionalizzare la rete dell’Ice. Io
non so quanti siano i dipendenti. In alcuni uffici c’è molta gente, in altri
poca. Ma la razionalizzazione della rete estere dell’Ice è indispensabile.
Cosa intende per razionalizzazione dell’Ice?
Eliminare le duplicazioni tra ufficio diplomatico e ufficio Ice. Questo è
l’obiettivo. Veda, nelle ambasciate ci sono spesso anche attività a
carattere economico e commerciale. Ci sono già competenze di questo tipo,
che si sovrappongono spesso alle stesse attività svolte dall’Ice. Ecco,
bisogna superare questa duplicazione, arrivare piuttosto a una integrazione.
Nel senso che vuole far diventare i funzionari Ice degli ambasciatori, o
viceversa?
No, no. La nostra idea è di arrivare a un’integrazione funzionale delle
attività. Lavorare sul medesimo obiettivo. Uno facendo un pezzo, uno un
altro pezzo. Si eviterebbero così pesanti diseconomie di scala. Certo,
bisognerà trovare uno status giuridico dell’ufficio Ice, perché, tra
l’altro, il problema c’è, oggi. Le autorità estere di un Paese non sempre
riconoscono all’ufficio Ice una missione pubblicistica. Spesso li
considerano come operatori commerciali privati. Quindi anche l’Ice ha
bisogno di noi per integrarsi in una missione di tipo pubblico, per avere
una sorta di legittimazione all’estero.
Basterà a dare la spinta agli investimenti?
No. Fondamentale sarà l’apertura degli sportelli unici all’estero, che
vogliamo inaugurare entro l’anno. Stiamo già valutando alcuni progetti
pilota.
Quali sono i Paesi più disponibili?
Faccio qualche esempio, ma solo a titolo indicativo. Penso all’America
latina, ai Balcani occidentali, alla Federazione russa, ove abbiamo un
interesse molto forte, all’Ucraina.
A cosa servirà questo sportello unico?
A dare un segno tangibile all’utente. Non dovrà più andare da un ufficio
all’altro per chiudere una pratica. Dall’ufficio commerciale
dell’ambasciata, all’ufficio Ice; dall’antenna Simest alla Camera di
commercio. No, l’imprenditore che ne avrà bisogno potrà fare tutto in
un’unica sede, dove ciascuna attività sarà coordinata con l’altra. In
pratica: invece di andare in tanti uffici diversi, troverò tutti i miei
interlocutori nella medesima palazzina, tutti raccolti lì. Con un punto di
riferimento semplificato i tempi si accorciano. Se devo andare stanza a
stanza per avere informazioni interdisciplinari, tutto diventa più facile e
funzionale.
Sembra l’uovo di Colombo.
Ma prima non c’era la disponibilità politica a farlo, perché ognuno
rivendicava la sua bella palazzina con i fiori, tutta per sé. Ora abbiamo
detto: prima di tutto viene l’interesse del destinatario del nostro lavoro.
Ma tutto questo non basterà ancora senza l’integrazione progressiva dei
sistemi informatici del ministero degli Esteri, delle Attività produttive,
dell’Ice e delle Camere di commercio. Quattro grandi reti integrate che
daranno vita a un’operazione di rinnovamento gigantesca. Queste quattro
strutture hanno reti informatiche diffuse in tutto il mondo. Far parlare
l’uno con l’altro questi sistemi vuol dire che il cittadino, il cittadino
imprenditore, può averli tutti contemporaneamente sotto gli occhi. Porterà
un valore aggiunto innegabile all’efficienza del nostro sistema.
Ce la farete, entro l’anno, come promette?
Si può realizzare in tempi brevi. L’Ice ha raggiunto una tecnologia di
avanguardia che gli altri non avevano. Il sistema camerale, con sedi in ogni
provincia d’Italia, brilla per la sua capillarità. La rete diplomatica, che
ha contatti esclusivi con le autorità locali, ha la capacità unica di early
warning, cioè di avviso, preventivo e immediato, quando ci sono problemi o
opportunità. Se mettiamo tutti questi vantaggi strategici in un’unica rete
abbiamo possibilità straordinarie.
Metterete insieme anche iniziative che oggi vanno in ordine sparso? Penso
alle promozioni delle aziende all’estero.
Certo. E’ uno degli obiettivi dell’intesa 13 febbraio che prevede di avviare
una programmazione congiunta delle visite all’estero a carattere economico e
commerciale. Il rischio di polverizzare le visite esiste. Oggi ognuno va per
conto suo: imprenditori, Regioni o rappresentanti istituzionali che siano.
Invece: se per esempio bisogna andare in visita in un “sistema Paese” come
l’Ucraina, d’interesse strategico per l’Italia, dovrà essere il nostro
“sistema Paese” a presentarsi, con un’iniziativa unitaria.
Non utile né funzionale che un mese vanno in missione gli imprenditori del
Veneto, il mese successivo la Regione Puglia, quello dopo ancora il ministro
dell’Agricoltura, e via dicendo.
Basterà un’intesa politica a ottenere questo?
Noi stiamo anticipando quello che prevederà nel prossimo futuro la legge
sull’internazionalizzazione, che presenteremo in Parlamento.
Ma per dare fiato alla competitività delle nostre aziende servirà una sponda
europea, non crede?
C’è l’impegno italiano a dare concretezza alla strategia di Lisbona tanto
cara a Confindustria. Nel prossimo consiglio il piano per la competitività,
l’occupazione, per dare alle imprese uno slancio di tipo non
assistenzialistico avrà un punto di sintesi: dal lavoro flessibile alla rete
di infrastrutture con i grandi corridoi di collegamento europeo;
dall’impulso alle infrastrutture tecnologiche all’e-government,
all’agricoltura di qualità. Se poi ci mettiamo il dossier sulle politiche di
coesione, avremo un quadro complessivo molto competitivo.
E il “Patto antiburocrazia” a che punto è?
Il piano di riforma della pubblica amministrazione ha portato una legge che
permette la rimodulazione degli enti pubblici, con la riduzione di enti,
agenzie e soggetti pubblici accorpandoli, fondendoli, eliminandone alcuni.
Prima che io arrivassi alla Farnesina, è stata approvata la legge che ha
eliminato 500 leggi in un colpo solo e sono stati aboliti adempimenti
burocratici odiosi.
Avevamo fatto un patto con Confindustria e altre organizzazioni e si erano
costituiti tavoli di governo. Ma dal novembre scorso non me ne occupo più.
Non si occupa più nemmeno della riforma del sistema previdenziale e
pensionistico? Lei era tra quelli che sostenevano che la competitività delle
nostre aziende passa anche attraverso la riforma del sistema previdenziale e
pensionistico, che ancora non è arrivata.
L’Europa sta ragionando sui criteri di sostenibilità dei sistemi
previdenziali dei vari Paesi. E’ evidente che sarebbe pericoloso avviare
iniziative di tipo estemporaneo. Noi abbiamo la delega per la riforma
previdenziale che è stata approvata ed è in vigore. E’ un impegno preso e
mantenuto. Certo, limitato. Ma il tema grande della sostenibilità viene
studiato in sede europea. E’ la sede giusta.
Anche lei non crede che l’Italia sia in grave crisi di competitività?
No, non credo a questa crisi. Abbiamo dato prova di tenere in ordine i conti
pubblici, al di là di quello che alcuni sostenevano. E poi il nostro tasso
di crescita è allineato sulle medie dei principali paesi europei, tenendo
presente l’anno di congiuntura negativa per tutti. Quindi abbiamo
sicuramente chance di apparire sempre più competitivi. Dovunque vada per il
mondo mi dicono: per favore esportate qui il modello industriale della
piccola e media impresa che avete inventato.
Anche lei sostenitore del “piccolo è bello”?
Le piccole e medie imprese ci sono e ci saranno sempre. Sono il nucleo
basilare della nostra economia. Piccolo è bello sì, ma con una differenza:
non deve essere un obbligo restare piccoli. Il sistema istituzionale non
deve impedire la crescita. Da liberale di spirito sono favorevole a dare
alle imprese la possibilità di poter crescere, se vogliono.
Non sembra sia solo una questione di volontà, ma anche di risorse
finanziarie. Per il sistema bancario italiano sembra che esistano soltanto
le grandi industrie, peraltro in crisi. Per sperare di avere un
finanziamento, a tassi capestro, una piccola o media azienda deve fare i
salti mortali. Come pensa che il “piccolo” possa essere ancora “bello”?
E’ vero. Le banche devono aiutare di più lo sviluppo. Devono fare
valutazioni approfondite se davvero hanno aiutato l’industria a crescere o
se le imprese si sono rimboccate le maniche e hanno fatto da sole.
Nel Nord est certamente il ruolo delle banche è stato utile. Lì hanno capito
che c’era da investire molto e hanno fatto qualcosa.
Nel mondo il sistema bancario è un punto fondamentale, per le imprese.
Bisogna fare il più anche in Italia.
Letizia Pizzi
L’Imprenditore, aprile 2003 |