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Referendum del 15 giugno: Il “debutto” degli italiani all’estero

AIE - Ancora non si sa se ci sarà il quorum. Ma di sicuro ci saranno gli italiani all’estero. Domenica 15 giugno, referendum sull’articolo 18. Difficile crederlo ma sarà quello il grande giorno del debutto alle urne dei nostri connazionali sparsi per il mondo. Un tema difficile, lontano, tutto italiano, che non produrrà ovviamente effetti diretti sulla loro vita quotidiana di italiani lontani dalla patria d’origine. Eppure a votare sì o no sull’estensione del reintegro sul posto di lavoro per licenziamento senza giusta causa nelle aziende con meno di 15 dipendenti è chiamato l’intero corpo elettorale. E quattro milioni di quegli aventi diritto sono italiani all’estero. Inutile dire che la coincidenza non entusiasma affatto il ministro Mirko Tremaglia, An, padre della riforma e responsabile per gli Italiani nel mondo: “Un filo di dispiacere che si cominci così ce l’ho, come negarlo. Un referendum che non avrà il quorum neppure in Italia cosa può interessare agli italiani all’estero? Nonostante questo li invito lo stesso ad andare a votare”. Di più. Tremaglia ha subito deciso di attivare i gruppi parlamentari per sapere da loro “quali sono le posizioni dei partiti sul voto. Dopodiché mi assumo il compito di fare il notaio e le comunicherò agli italiani all’estero”. E ancora: “Mobiliterò la presidenza del Consiglio perché provveda ad azioni di comunicazione sui giornali all’estero e non faccia mancare la pubblicità istituzionale”.
Ma loro, i rappresentanti degli italiani nel mondo, come giudicano questo strano debutto? “Li ho visti tutti dieci giorni fa a Roma i rappresentanti del Consiglio generale degli italiani all’estero - spiega ancora Tremaglia -. Non hanno interesse a votare perché non c’è nessuna ricaduta di quella norma che possa riguardarli. Ho chiesto loro un gesto d’amicizia, di fare un sforzo che dimostri la loro volontà di partecipare”. Bruno Zoratto, friulano, da 39 anni in Germania, prima entusiasta oggi deluso dai tedeschi, è presidente della Commissione informazione e comunicazione del Cgie. Ed è perplesso: “Un bel dramma”, sbotta. Poi spiega: “Tutti noi vogliamo che la maggior parte degli italiani accorrano ad esprimere per la prima volta il voto, ma è un peccato che questa dimostrazione debba avvenire su un tema così”. Un argomento del quale lui stesso confessa di sapere poco: “Allo stato attuale l’informazione è nulla e il tema è parecchio ostico, il problema c’è”.
Più ottimista il rappresentante degli italiani d’Argentina, Franco Arena. Forse perché a quelle latitudini l’ottimismo è d’obbligo per vivere con una crisi economico-politica che si trascina senza sbocchi da due anni. “Non sono così pochi gli italiani che hanno presente cosa chiede il referendum - rivela Arena, coordinatore nazionale del Comitato del Tricolore degli italiani nel mondo -: vediamo la Rai in diretta, arrivano i giornali italiani...”. Anche a credergli e a convincersi che chiedere un voto per estendere le tutele contro i licenziamenti ingiusti in un Paese dove il posto di lavoro è merce ormai quasi introvabile, la confusione deve essere comunque alta. Visto che anche in Italia i partiti hanno posizioni confuse. Infatti Arena non rinuncia ad invocare “una pubblicità importante” e il coinvolgimento “del potere consiliare e delle ambasciate nella diffusione delle notizie su questo tema”. Convinto com’è che “dobbiamo votare tutti per dimostrare che siamo interessati alla politica italiana”.
Lo stesso impulso lo sente il “tedesco” Zoratto: “Noi associazioni organizzate lo sappiamo bene che il nemico è dietro l’angolo, che per far capire che vogliamo contare a chi non era d’accordo con la riforma voluta da Tremaglia bisogna votare nel maggior numero possibile”. Arena, calabrese di Vibo Valentia, in Argentina dal 1950 quando aveva un anno appena, ancora una volta veste i panni dell’ottimista: “L’italiano vuole partecipare, sempre”. O meglio: “Fa quello che gli dice la sua classe dirigente, questo ho imparato dalla storia del nostro popolo, di noi meridionali. Se noi dirigenti diremo che si deve votare per questo referendum i nostri connazionali qui lo faranno. Siamo abituati un po’ come sudditi, no?”.

Enrico Caiano
Corriere della Sera del 29 aprile 2003