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CGIE: i lavori della Commissione Continentale Paesi Anglofoni (Philadelphia, 28-30 ottobre) La Relazione del Consigliere Domenico delli Carpini Intelligenze e potenzialità: la nuova diaspora del talento italiano nel mondo (AIE)
Nei giorni 28, 29 e 30 ottobre si sono svolti a Philadelphia, (Usa) i lavori
della Commissione Continentale per i Paesi Anglofoni extraeuropei. Tema
centrale della riunione: “Intelligenze e potenzialità: la nuova diaspora
del talento italiano nel mondo”. Il
Consigliere CGIE per gli Stati Uniti, nonché membro del CdP, Domenico delli
Carpini, ha illustrato la Relazione tematica. Pubblichiamo
di seguito la Relazione del Consigliere Domenico delli Carpini. Cari
amiche, cari amici. Innanzitutto, un cordiale benvenuto a tutti gli esperti,
ai colleghi del CGIE, ai componenti del Comites, agli ospiti, alle autorità,
e alle associazioni qui presenti. L’8
ottobre scorso, il Professore Riccardo Giacconi, appena insignito del Premio
Nobel per la Fisica, parlando del suo rapporto con l’Italia affermò: “Michelangelo
diventò un grande artista perché aveva un muro da dipingere. Io, quando
ero in Italia, non avevo un muro. per questo sono venuto via”. Per il
professore, le differenze di condizioni di ricerca tra l’Italia e gli Usa,
stanno proprio nella disparità di mezzi e nella mancanza di un muro. quello
dell’opportunità, dell’investimento. Ed
eccoci quindi al tema di questa Commissione - Intelligenze e potenzialità,
la nuova diaspora del talento italiano nel mondo - che, più che un tema
vero e proprio è uno slogan consolidato nel tempo e sempre ricorrente
specie se rapportato alla ricerca scientifica, alla cultura italiana intesa
come fedeltà alle nostre origini ed alle nostre radici, all’industria,
alla finanza, ai variegati, molteplici aspetti del business inteso come
network globale del pensiero e dell’azione. Viviamo
questa realtà chiamata America chi come “ospite”, chi come
“esiliato”, chi come “ricercatore” chi come “imprenditore”, chi
come “italiano all’estero”, perché onestamente crediamo che questo
mondo, al contrario di quello che abbiamo lasciato alle spalle, ci permette
di realizzare i nostri sogni, le nostre aspirazioni e di creare un futuro
migliore per le nostre famiglie con una certa elasticità sociale/economica
certamente meno rigida rispetto all’Italia. E’ un connubio (direbbe
qualche cinico osservatore), forse dettato dalla convenienza e
dall’opportunismo. Può anche darsi. Ma le realtà illuministiche di oggi
sono ben diverse da quelle di qualche secolo fa e il nuovo meccanismo
“investimento/ricerca scientifica” può definirsi e crescere soltanto se
supportato da una solida base economica. La storia insegna. La fuga dei
cervelli non è iniziata oggi, o qualche anno fa con i vari Marco Polo,
Colombo, Meucci, Fermi, Borgese, Vittorini, Poggioli, Giacconi . e con tanti
di voi qui presenti; è storia di secoli e sempre per le stesse esigenze.
quelle di realizzare altrove, con le potenzialità proprie e le risorse
altrui, ciò che era impossibile “dipingere” sul “muro” inesistente,
in Patria. Ma mentre prima il “muro” (inteso come
sviluppo/investimento/ricerca scintifica/economia) non esisteva - ma per
quanto invisibile era comunque necessario “scavalcarlo” per conoscere
cosa ci fosse oltre - oggi, alle soglie del Terzo Millennio e con l’Italia
ormai saldamente posizionata al 5°/6° sesto posto tra le potenze
economiche nel mondo, il “muro” dovrebbe sconfinare in alto in modo da
sfondare il tetto degli investimenti/stanziamenti governativi e privati e
permettere alle “menti” di creare e produrre in patria (magari con la
stessa bravura) capolavori simili a quelli del “muro” di Michelangelo e
non di atrofizzarsi in un processo deleterio di ossificazione. Molti
di voi, se non tutti, sono approdati a New York, Los Angeles, Chicago,
Filadelfia (o in qualche laboratorio super segreto) per ragioni di forza
maggiore, spinti non certo dalla mera necessità economica, bensì dalla
consapevolezza che alcuni traguardi potessero essere raggiunti soltanto in
America. Rispetto all’Italia,
l’investimento sulle “potenzialità intellettuali” negli Usa e il suo
finanziamento sono logiche di mercato che scaturiscono da un civile quanto
concreto consociativismo (concertazione- accordo tra maggioranza ed
opposizione) tra le parti politiche. Negli Stati Uniti la dicotomia business-ricerca
scientifica si è da sempre rivelata (almeno negli ultimi 50 anni),
un’accoppiata vincente che si è spesso tradotta in moltiplicazione dei
posti di lavoro e conseguente benessere economico per le famiglie. Ma in
Italia non è così e le cifre sono più che eloquenti, direi addirittura,
accusatorie. L’“investimento intellettuale-economico” del nostro Paese
è limitato allo 0.58% (esclusi investimenti privati) del suo Pil (prodotto
interno lordo), superiore soltanto a quello di Cipro che dedica agli
investimenti nella Ricerca Scientifica lo 0.30%. Al di sopra dell’Italia
si collocano paesi come l’Estonia (0.6%), l’Ungheria (0.65%), la
Slovenia (1.4%), la Danimarca (1.9%) e ovviamente la Germania (2.3%), la
Francia (2.4%), l’Olanda (2.0%) e la Gran Bretagna (1.8%). Queste ultime
quattro nazioni praticamente investono nella ricerca quattro volte in più
dell’Italia. Se
questo trend non dovesse subire delle modifiche immediate e concrete e se la
mentalità politica italiana nel rapporto industria-ricerca dovesse rimanere
immobile, stantia, il benessere così come lo conosciamo oggi rischierebbe
il tracollo. Non solo. Il divario, anzi il baratro economico Italia-altre
nazioni industrializzate europee (Germania, Francia, Inghilterra) si
dilaterebbe in senso latitudinale tale tanto da diventare poi incolmabile. Ma
vorrei chiedere, senza essere provocatorio: in Italia manca sufficiente
materia prima o meglio, un numero adeguato (di ricercatori/scienziati) tale
da giustificare gli investimenti, oppure c’è scarsa comprensione
(politica) circa l’importanza che gli investimenti nella ricerca
scientifica hanno in termini di espansione economica e quindi benessere
sociale? E se fosse vera questa ultima probabilità come si possono
incentivare gli investimenti, quali sono le opportunità di collaborazione
esistenti e gli eventuali vantaggi, quali potrebbero essere le linee
direzionali da seguire, e soprattutto, con chi interloquire? Tanti
sono stati i convegni-workshop che negli ultimi anni hanno affrontato questo
problema, tante le proposte, poche in verità, le soluzioni. L’ultimo in
ordine di tempo tenutosi alla Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York
University di New York, tuttavia, ha messo il dito sulla piaga della
“fuga-intellettuale” dei cervelli dall’Italia individuando non solo le
manchevolezze del sistema Italia, soprattutto proponendo i rimedi in un
documento dalle linee chiare ed inequivocabili. Non più equilibrismo
politico ma soluzioni efficaci in modo da poter canalizzare gli sforzi per
una concertazione fruttuosa e un sistema omogeneo tra il mondo della
scienza, dell’industria e della finanza tra ambedue le parti
dell’Atlantico. Queste
le cinque principali indicazioni emerse dal workshop: 1)
Identificare aree di frontiera scientifica sulle quali istituire
collaborazione di ricerca e/o formazione, prevedendo fin dall’inizio uno
sviluppo applicativo comune dei risultati; 2)
stimolare la mobilità di ricercatori, nel contesto di svolgimento di
programmi comuni; 3)
favorire la formazione di un sistema di intervento di fondi privati
provenienti da imprese, fondazioni, etc.; 4) dare
vita ad una iniziativa di
formazione/ricerca nella “Business innovation leadership” per il
potenziamento della presenza italiana nei settori di frontiera e dello
sviluppo economico e sociale; 5)
organizzare i rapporti fra due gruppi, nei due Paesi, attraverso la
creazione di una apposita “task force”. “Proposte
come queste - aveva dichiarato appena dopo la conclusione del workshop di
New York il Prof. Massimo Pettoello Mantovani (nostro gradito ospite ed
esperto) - mi fanno sentire ottimista, proprio perché si tratta di proposte
concrete. A questo punto, il prossimo passo da compiere è quello di
verificare le disponibilità e soprattutto l’impegno delle parti a
delineare e sviluppare questo meccanismo operativo sul quale in linea di
principio i partecipanti possano trovarsi d’accordo. Credo che favorire
questo processo di verifica sia proprio una azione in cui le Istituzioni
potrebbero e dovrebbero giocare un ruolo importante”. Solo
così, noi (come istituzione) e voi, come protagonisti di questo esodo
riusciremo a colmare l’abisso “dell’investimento intellettuale” che
separa l’Italia dagli Stati Uniti e dagli altri Paesi. A voi, che alle
incertezze del nostro Paese, avete preferito le certezze e l’audacia negli
investimenti di questa terra, all’imponderabile, la realtà, alle
promesse, la sicurezza di un futuro svincolato e, soprattutto, non
subordinato a scelte politiche di alcun genere, spetterà un giorno riuscire
a riempire il vuoto e a contenere il “drain” che priva l’Italia dei
suoi “cervelli” più grandi, delle sue “menti” più eloquenti. Ma ci
vuole una strategia complessiva. Solo così riusciremo a costruire il muro
del Prof. Giacconi, a sentirci, ovunque protagonisti. AIE |