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Politica del dialogo su tutto Usciamo da questo degrado
(AIE) Da trent’anni, esattamente dal 1972, sono deputato al Parlamento italiano. Si parlava, si discuteva un tempo in termini forti, anche con scontri durissimi, ma vi erano di mezzo idealità, le linee fondamentali della Repubblica e la passione avevano il pregio di riportarsi alle radici e ai valori in cui si credeva. I termini di fondo interessavano la Nato, le Regioni, la nostra politica estera, i trattati di Roma, la nascita dell’Europa, ma anche i problemi costituzionali e quelli economico-sociali. Un Parlamento che sentiva i problemi e costruiva il domani del popolo italiano. In mezzo vi era la partitocrazia, che significava il disprezzo totale del Parlamento e degli interessi dei cittadini, ma che, dopo tanti anni, è stata fortunatamente sconfitta. Il messaggio da allora è stato solenne e indispensabile: quello di rinnovare l’Italia. Purtroppo non ci siamo ancora arrivati. Se valutiamo la classe politica dirigente di questo Paese, dobbiamo con coraggio dire che è aumentato il distacco da parte della politica e che non è al servizio dei cittadini. Troppi sbandamenti, troppa guerra per la guerra, mentre si nota persino qualche tentativo di restaurazione. Stiamo sbagliando il metodo mentre dobbiamo ricreare un clima. Chiedo a tutti un tipo di nuova e importante visione della politica: la politica del dialogo. Dobbiamo capire che vanno affrontati tutti i problemi, da quelli della politica estera all’unità nazionale, ai diritti umani, alle riforme sociali ed economiche, agli italiani all’estero, alla cultura con spirito completamente diverso, assumendo la responsabilità che hanno maggioranza e opposizione. Respingo con decisione il buonismo, mentre inneggio alla lealtà, alla coscienza di ciascuno di noi e alle nostre responsabilità assolute verso i cittadini. Non posso ignorare che contano l’umanità e la civiltà nell’accoglienza ai disperati che arrivano sulle nostre coste. Occorre credere in una dimensione etica della vita, occorre richiamare le categorie del lavoro e dei lavoratori alla collaborazione organica. Questo, sottolineo, significa usare il dialogo. Deve finire, come ho detto prima, la guerra guerreggiata su qualsiasi questione. Indispensabile ritornare alla serietà del confronto, puntando all’intesa ogniqualvolta vi siano da trattare problemi di interesse generale. Me ne sono accorto personalmente quando, dopo decenni di ostruzionismo, ho vinto con la collaborazione di altri la battaglia storica degli italiani nel mondo. Allora riformiamo il metodo del dibattito, riformiamo noi stessi per sostenere ognuno le proprie tesi con intelligenza e sensibilità; il che non significa rinunciare, anzi vuol dire finalmente portare la discussione con forza nella politica e nel Parlamento in termini civili e giusti. Così la nazione potrà capire nuovamente la politica e la politica avrà successo a favore del popolo italiano contro la persistente partitocrazia. Altrimenti tutto si ridurrà alla lotta per il potere. Questo è il dubbio che mi preoccupa. Potere senza idealità contro il popolo e quindi a favore esclusivamente dei partiti e delle “società per affari”. Siamo a una pesante situazione di degrado; usciamo da questo vizio e da questa condanna e proclamiamo d’ora in poi una linea limpida, ripetiamo, quella del dialogo, per affermare finalmente la validità di un nuovo corso, di una dialettica fortemente democratica rappresentata da una capace classe dirigente all’altezza della situazione. Solo così arriveremo al rinnovamento nazionale e sociale, a una autentica partecipazione popolare per una democrazia che coincida con gli interessi degli italiani. Se riusciamo sul serio a riprendere il dialogo, nulla sarà impossibile. Possiamo anche risalire dall’odio di classe e giungere alla pacificazione nazionale. Dico ai colleghi: un po’ di coraggio, guadagniamo credito e faremo il nostro dovere. Questo è quello che conta. Mirko Tremaglia, Ministro per gli Italiani nel Mondo Corriere della Sera del 4 dicembre 2002 |