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I futuri elettori sono 4 milioni

Gli italiani nel mondo: una risorsa da valorizzare a cominciare dal voto

 

Nelle elezioni del 13 maggio ci sono stati quattro milioni di assenti involontari: gli italiani nel mondo, ai quali una modifica costituzionale introdotta dal Parlamento aveva dato per la prima volta nella storia della nostra democrazia la concreta prospettiva di esercitare il loro diritto di voto per corrispondenza, come già accade per tutti i Paesi civili, compresi quelli di larga emigrazione come la Spagna. Poi l’ingorgo legislativo degli ultimi mesi, e forse altre ragioni meno tecniche, hanno bloccato l’approvazione della legge elettorale ordinaria, nonostante l’incitamento del Capo dello Stato. Questa pausa può persino essere positiva, se se ne approfitterà per varare una legge chiara, onesta e di semplice applicazione e se, soprattutto, si porrà mano a una politica organica e coerente rivolta ai nostri connazionali all’estero. La nomina nel Governo Berlusconi di un Ministro per gli Italiani nel Mondo, nella persona di un parlamentare che ha dedicato a questo scopo tutta la sua carriera politica, costituisce al tempo stesso un segnale incoraggiante e la premessa indispensabile per un lavoro di ampio respiro.

La prima esigenza è di adeguare l’offerta dei servizi consolari nelle aree a più alta densità italiana alle necessità effettive. Si tratta di dotare i nostri principali uffici consolari di edifici, personale e mezzi adeguati. Le comunità all’estero, passata l’epoca della grande emigrazione, si sono in un primo tempo stabilizzate. Ora però, almeno in America latina, tornano a crescere per effetto dell’incremento nelle richieste di cittadinanza italiana (circa 30.000 l’anno nella sola Argentina). Alcuni nostri uffici sono obbligati, per far fronte all’accresciuta pressione, a ricorrere a misure come il sorteggio delle pratiche da trattare.

In questi ultimi decenni, è profondamente cambiato il profilo socioeconomico delle nostre comunità. Agli emigrati di prima generazione vengono via via sostituendosi quelli di seconda, o terza. Ciò impone una revisione delle nostre politiche. Non possiamo naturalmente abbandonare la parte più anziana delle nostre comunità. Dobbiamo perciò difenderne i diritti acquisiti in materia di pensioni, ampliare la nostra assistenza diretta e indiretta, fortificare la rete delle nostre istituzioni ospedaliere, asili, geriatrici ecc..

Dobbiamo però lavorare avendo in mente un tipo di italiano all’estero tendenzialmente giovane o adulto, di condizione socioeconomica media, che non conosce o conosce poco l’Italia, la sua lingua, la sua realtà politica, culturale ed economica e punta alla riscoperta delle proprie radici. Le sue esigenze si riassumono in alcuni punti precisi: accesso all’insegnamento della lingua e della cultura italiana ai gradi primario e secondario; possibilità di accedere all’alta formazione tecnico-professionale e agli studi universitari e post-universitari; facilitazioni per viaggiare e conoscere l’Italia; possibilità concreta di lavorare e vivere nel nostro Paese.

Gli italiani nel mondo hanno, infine, diritto a un’informazione sull’Italia adeguata a quello che il nostro Paese è oggi, nelle variegate e ricche manifestazioni della sua civiltà. Nonostante qualche miglioramento, la programmazione di Rai International sembra ancora diretta a un’emigrazione anziana e tradizionale che in realtà sta sparendo, e non all’assai più vasto pubblico di cittadini o di originari italiani, che va raggiunto con una programmazione di alta qualità e con la sottotitolatura nelle lingue dei principali Paesi di residenza. Se ben orientata, Rai International potrebbe davvero divenire (come le tv spagnola, francese e inglese) uno strumento ideale per offrire quanto c’è di meglio nella cultura, nell’economia, nell’informazione, nell’intrattenimento italiani.

Per più di un secolo, l’influenza dell’Italia nelle grandi aree di emigrazione è stata perpetuata da una vasta rete di associazioni, nate dalla generosità e dalla fede dei nostri emigrati e sostenute dalle loro donazioni volontarie. Così si sono realizzati i grandi ospedali, le grandi scuole, i grandi teatri nostri nel mondo. Questa fase è però superata: le associazioni rimangono ma conoscono serie difficoltà di obiettivi e di sopravvivenza. Sta a noi valorizzarle, indirizzarle verso compiti aggiornati e aiutarle a conservare e restaurare il loro patrimonio, spesso di grande valore artistico e storico.

Dobbiamo guardare ai milioni di italiani nel mondo non come a un’appendice folclorica da rimuovere, ma come a una risorsa viva per l’espansione dell’influenza politica, economica e culturale del nostro Paese nel mondo e per la sua immagine di Paese civile e avanzato. E, che piaccia o no, come a futuri elettori.

 

Giovanni Jannuzzi

Il Corriere della Sera del 26 giugno 2001